La Capitanata, quale regione geografico-culturale ed amministrativa della Puglia, già dal regno di Sicilia e di Napoli, fu area di sviluppo di un ceppo familiare, proveniente da Napoli a metà del ‘400, in epoca di dominazione Aragonese. Del resto tale territorio era particolarmente ambito per il crescente affermarsi delle attività commerciali, specie agricole, e creditizie (cfr.M.C.Nardella, Attività commerciali e creditizie in Capitanata nella prima metà del secolo XVII,1979), tanto da attirare l’interesse di numerosi esponenti delle famiglie napoletane di Seggio e mercantili della città Regia, la quale garantì per lungo tempo sicuri sbocchi alla produzione granaria e salina pugliese. Il porto di Barletta si elevò a cittadina residenziale per detti “aristocratici degli affari”, in quanto strategico per il collegamento a Napoli ed altre città. Altrettanto, Foggia e sue cittadine limitrofe fu residenza dei vari mercanti forestieri e del regno, che ivi trovarono dimora e si iscrissero nei registri della nobiltà locale. Per quanto concerne i d’Alessandro in Capitanata, una prima presenza si ebbe nel XIII° secolo con il citato “miles” Guido de Alexandro, che si ritirò in vecchia nel casale di Lama Ciprandi nel territorio di Foggia. Lo studioso ottocentesco De Daugnon nella sua genealogia (La Ducal Casa dei d’Alessandro..) evidenziò altro esponente presente nella suddetta terra, Sansonetto d’Alessandro (del barone Giovanni III), che vi si recò in qualità di Governatore di Lucera e Foggia fino al settembre del 1432, quando fu sostituito da Niccolò Bonomo (Registro Angioino-distrutto- dell’ex Grande Archivio Napoli, 1423, fol.313, privil. del 5 sett.).Un precedente genealogista, Giuseppe A.Osorio, nei suoi appunti araldici sulla famiglia Alessandri/o evidenzia quanto segue: “Giovanni d’Alessandro –quale capostipite del ramo di Ascoli S. fu – gentiluomo di detto Seggio (Porto), che fu in tempo di Re Ferrante Capitano della Guardia, come appare dalle scritture originali che detta famiglia conserva”. Costui è identificabile, nell’ambito del citato studio del De Daugnon, nel personaggio di Giovantello, figlio di Sansonetto del ramo della Castellina e Maria de Liguoro, già guardiano del porto in Napoli e del porto di Fortore in Capitanata, alla data del 16 giugno 1481 (Regis Ferdinandi Primi, Instructo n.1914 p.221). Quest’ultimo incarico, tra l’altro, gli era stato passato dal fratello Antonio, quando assunse nuovi prestigiosi ruoli nel regno, per poi essere conferito al di lui figlio, Vincenzo, nel 1533.
Una presenza significativa dei d’Alessandro, collegati probabilmente al ceppo napoletano, è quella che si insediò in Barletta per le ragioni commerciali di cui sopra. Costoro giunsero a godere della nobiltà cittadina (E.Noya di Bitetto, Blasonario generale di Terra di Bari, Mola di Bari 1912, p.11) fino al XVII° secolo. Tra gli esponenti di detta famiglia, più di spicco, vi sono (A.Vitrani, F.Pinto, Barletta stemmi di famiglie nobili, Barletta 2001,p.99):
Pietro d’Alessandro, Vicario generale di Barletta nel 1544; Onofrio e Giovan Battista d’Alessandro vennero citati nell’atto del notaio Giovan B. Pacella del 20 settembre 1637, quali confratelli della confraternita del SS.Sacramento in S.Pietro; Nicolantonio d’Alessandro, invece, fu arciprete della locale chiesa di S.Maria Maggiore nel 1651.
Risulterebbe altra presenza familiare dei d’Alessandro in Foggia, godente di nobiltà locale, ancora da approfondire.
Tra i primi studiosi che citano detta famiglia d'Alessandro di Ascoli vi fu il nobile aquilano Giuseppe Alferi Osorio nei suoi manoscritti araldici del 1690 sugli Alessandri.Costui sostenne l'origine napoletana di tale ceppo parentale per il tramite del suo capostipite Giovanni de Alexandro (seconda metà del XIV° sec.). Lo stesso riportò come ulteriore fonte lo storico Ottavio Beltrano, che ne parlò nella sua opera "Descrittione del Regno di Napoli" del 1648, carta n.213. Sul finire dell'800 vari araldisti riconobbero la nobiltà del ramo ascolano dei d'Alessandro, quali il Candida Gonzaga (B.Candida Gonzaga, Memorie delle Famiglie Nobili..,Napoli 1875,V.I,p.80) o il Crollalanza (G.B.Crollalanza,Dizionario Storico-Blasonico..,Pisa 1886-90,V.I,p.28).
Il blasone dei d'Alessandro di Ascoli è similare al ceppo di origine, con una variante, probabilmente, introdotta nel corso del XVIII° secolo, quando la famiglia si distinse tra la nobiltà locale come ramo indipendente.Difatti, si scorge ancora il modello dell'insegna d'origine napoletana, fatta con leone rampante ritratto a man sinistra ed attraversato da banda con tre stelle (ma con coloritura sconosciuta),sul sepolcro di Gio.Ferdinando, edificato nel 1621 nella cappella di famiglia presso la chiesa di S.Giovanni in Ascoli.Successivamente fu introdotta l'accennata variante araldica, immortalando il leone rampante che guarda a man destra (con rispettiva colorazione,divergente nella banda d'azzurro), come da affresco del locale palazzo settecentesco dei d'Alessandro o come stemma marmoreo presso la cappella di famiglia in cattedrale. Fu scelto quale motto:"Robur et Splendor".
Notizie documentate di una successione testamentaria di fine XVII° secolo (Archivio di Stato di Foggia, Protocollo Antichi Notai, Notaio Giovanni Javarino di Ascoli; Archivio Storico Diocesano Curia Vescovile di Ascoli, copia documento notarile) riferiscono poi di vari esponenti della famiglia d'Alessandro, da cui si sono tratti certi profili genealogici. Il 13 luglio 1693 si costituì innanzi al notaio il clerico Giulio Cesare d'Alessandro di età compresa tra i 14 ed i 25 anni, figlio ed erede del defunto Giovanni Ferdinando della città di Ascoli, con suo curatore Paolo de Alferio e con il consenso della Curia Episcopale locale. Per la presenza di taluni debiti, pervenuti in successione, vi fu proposta di alienare parte dei beni per soddisfare i creditori, anche perchè non usufruibili o gestibili dall'erede e suoi parenti, che erano domiciliati nella città di Bovino. I beni testamentari erano burgensatici, con una masseria e fontana, una casa palaziata, cortile e chiesa di S.Giacomo ("unam maxariam nuncupatam la fontana delle Rame in territorio Asculi cum domus palatiata, cortile, ecclesia nuncupata di San Giacomo") al suo interno, una vigna con "migliara di viti..arbori di fiche,pera,mela,cotogna,granate, noci,olive" ed annessa casa e fontana, con strada "da lui posseduta,dal di lui padre et antenati". Detti beni,comunque, erano elencati nel precedente istrumento notarile del 6 marzo 1659 con il duca Di Franco.Più in dettaglio, "un pezzo di carra due in circa" relativo all'aia e "deserti" della fontana delle Rame, comprensivo di "mezzana del quondam Giovanni Battista de Alexandro". Altro pezzo "di versure trenta in circa" detto "le Corte, seu Ambrighi, mista, la vigna" di provenienza dell'Ospedale di Ascoli. Altro pezzo "di versure sedici", detto la Pianezza, già del Convento di S.Maria del Popolo. Pezzo di "versure sette in circa" con la "mezzanella" del quondam Giovanni B. Il pezzo "di versure dieci" conteneva la vigna dotale, già del quondam Domenico Del Vecchio. La masseria nella città di Ascoli era formata da proprietà "mista li beni delli heredi" del quondam Di Felice e di quelli dell'Università di Ascoli, di quelli del fisico Potito Cologno e quondam Giovanni B. d'Alessandro. Ad essa era annessa la "Cappellana (del Soccorso) di detta chiesa di San Giacomo" per la celebrazione di messe nei giorni di festa, su cui fu fissata una convenzione con donazione di 1100 ducati ed altri 600 perché creditrice dal 1621 verso la masseria e suoi terreni. L'intera proprietà pervenne a Giovanni Ferrante Seniore d'Alessandro (1622) su alienazione di Bartolomeo Archelli,con patto di versare alla detta cappella il saldo di 567 ducati annui per il tramite di Scipione d'Alessandro. Ereditò, poi, tal patrimonio Giulio Cesare Sr. d'Alessandro , "avum paternum dicti clerici minoris", il quale nel suo testamento dell'8 ottobre 1654 presso il notaio Politi Volpe fissò la donazione alla Cappella di S.Maria del Soccorso in ducati 80 annui con il consenso del vescovo di Ascoli.
Il medico Giovanni Pietro d'Alessandro sollevò tra il 13 gennaio 1774 ed il 28 ottobre 1775 istanza al vescovo di Ascoli e Ordona, Mons. Emmanuele de Tommasi, per il riconoscimento secolare della cappella della Circoncisione (o S.Simone) nella cattedrale di Ascoli Satriano, quale cappella d'Alessandro su cui vantava il diritto di patronato. A dimostrazione, si avvalse della prova della lapide, su cui era incisa l'iscrizione: "Ferdinandus (Gio.Ferdinando) de Alexandro ut hoc sacellum conservetur in sua familia curant.1642"(Archivio Storico Dioc.Curia Vescovile Ascoli,Visite Pastorali n.9/6,prot.57/04).
La cappella era appartenuta, in precedenza, alla famiglia Cautillo, edificata dal Troiani ed acquisita dai d'Alessandro nel '700. Detto Gianpietro d'Alessandro, il 20 gennaio 1774, giunse a delegare, con firma autentica presso il notaio Potito d'Autilia, il figlio Cesare che lo rappresentò in ogni sede di tribunale per detta lite (Arc.Stor.Dioc.Cu.Vesc.Asc.,Visitarum Altaris S. Simeonis, fog.7). Nell'aprile del 1774 il vescovo di Ascoli ricevette lettera dal cavaliere de Vargas Machuca, Delegato della Regal Giurisdizione, con la quale si intimava la Curia ascolana a non turbare più la famiglia d'Alessandro, circa il possesso della cappella della Circoncisione nella cattedrale (Arc.Ibid.,fog.8-9).Il vescovo si espresse a favore del riconoscimento, senza "recarsi alcun pregiudizio agli diritti qualunque siano" dei d'Alessandro, seppur ordinò l'interdizione per tutti i lavori di risanamento ed abbellimento della cappella da eseguirsi, come da disposizione ecclesiastica del 1620, tali da renderla idonea alla celebrazione della messa. La cappella subì,poi, altri interventi di restauro nel 1812 per opera della famiglia, come da ricordo lapideo.
Tra fine settecento e l'ottocento si annoverano vari personaggi della famiglia d'Alessandro, che scelsero la vita religiosa, come sacerdoti nella cattedrale ed altre chiese locali. Tra questi Don Francescantonio d'Alessandro (1798), Don Giuseppe M. d'Alessandro (1833), Don Domenico d'Alessandro (1843).
Principali esponenti dal XV° sec.ad oggi
I protagonisti dei d'Alessandro di Ascoli Satriano, rinvenuti nei documenti d'archivio notarile o della curia vescovile (seppur doveva esistere l'archivio familiare, come da testimonianza seicentesca dello storico Giuseppe Alferi Osorio che riporta le note sul citato Giovanni,riprese "dalle scritture originali che detta famiglia conserva") sono:
- Giovanni, napoletano del seggio di Porto, Capitano della Guardia sotto re Ferrante d'Aragona e Capitano del porto di Fortore (1481);
- Giulio Cesare Sr., proprietario di fondi rustici e deceduto nel 1654 come da citata successione testamentaria;
- Gio.(vanni) Ferdinando (Ferrante), dottore, già vivente nel 1621, allorquando edificò la tomba di famiglia nella chiesa di S.Giovanni.E' proprietario con Scipione e Gio.Battista d'Alessandro (fratelli?) della grande proprietà terriera con masseria,vigna,cappella nella chiesa di S.Maria del Soccorso etc. Morto nel 1693 come da successione testamentaria;
- Giulio Cesare Jr., sacerdote, figlio di Gio.Ferdinando con altri parenti residente in Bovino, nato intorno al 1668/78. Fu tra gli eredi della propietà testamentaria del padre;
- Giovanni Pietro (Giampietro), medico, vivente alla data del 1774 e promotore della lite giudiziaria sulla cappella d'Alessandro nella cattedrale di Ascoli;
- Cesare , figlio di Giovanni Pietro, vivente alla fine del '700 ed esponente dei moti rivoluzionari del '99. Giudice di Pace nella costituita municipalità di Ascoli (1 marzo 1799), alla quale aderì anche Giovanni Ferrante d'Alessandro (fratello?), quale capitano della 1° compagnia della Guardia Nazionale civica (G.A. e E.Tedeschi, Ascoli Satriano nel Risorgimento nazionale,1799-1829,Ascoli 19---,p.10,62). Cesare fu ucciso il 2 maggio 1799 e D.Domenico d'Alessandro (figlio?)fu convocato al di lui processo il 25 settembre 1799;
- Francescantonio, religioso,promosso sacerdote nella cattedrale di Ascoli nel 1798 con bolla pontificia di nomina e nulla osta del re Borbone (Arc.St.Cu.Ves.As.,Provvisione Uffici e Benefici, n°54,prot.57/04);
- Giuseppe e Giampietro, proprietari, tra i promotori di una lite, tra il 1836-39, contro Gerardo e Giuseppe conti di Capracotta, per il rilascio del terzo di Riaccio nel bosco di Montemilone, presso il Consiglio dell'Intendenza di Capitanata (P. di Cicco, Il Molise e la transumanza, doc. dell'Arc. di Stato di Foggia, Isernia 1997, p.250,295);
-Giuseppe Maria, teologo, ammesso nella cattedrale di Ascoli con possibilità di tenere lezioni di grammatica tra il 1825 e 1829.Promosso nel 1833 nell'Arcipretura della cattedrale con dispensa della S.Sede e nulla osta del Re (Arc.St.Cu.Ves.As.,Provvis.Uffi. e Benef., n°93,104,109, prot.57/04);
- Domenico, figlio di Domenico Sr. e D.Teresa Fania di S.Severo, religioso, nato il 2 ottobre 1817 in Ascoli S. e battezzato in cattedrale. Entrò come novizio nella "clericale tonsura e quattro Ordini minori", il 5-19 dicembre 1839 per poi essere ordinato sacerdote il 3-14 aprile 1843 (Arc.St.Cu.Ves.As., Sacre Ordinazioni,n°295, 316,338);
- Giustino, medico, nacque sul finire del XIX secolo. Fu tra gli ultimi esponenti dei d'Alessandro di Ascoli a risiedere nel palazzo familiare. Si sposò due volte, avendo dalla prima moglie Luisa e dalla seconda Angela Caggese i tre figli, Antonio, Ottavio, Giuseppe;
- Ottavio, figlio di Giustino, avvocato, nato nel 1934 e morto nel 1982. Tra gli ultimi proprietari di porzione del palazzo. Suo erede,Carlo Giustino, nato nel 1971 e residente a Roma.
Il prestigioso immobile di fattura sei-settecentesca si presenta articolato su più livelli con cappella religiosa.Si accede al piano nobile dal grande portone che immette in un androne con stemma affrescato sulla volta.Come da testimonianza di Carlo Giustino d'Alessandro "l'appartamento al primo piano della palazzina settecentesca descritta è stata di mia proprietà fino all'anno 1999 e del quale vorrei aggiungere alcuni dettagli e precisazioni. L'intero palazzo residenza dei d'Alessandro era costituito da un'ala delle cucine, una delle abitazioni e una detta dei ricevimenti, con il salottino bianco ed il salone vero e proprio. L'ingresso, attraverso un portone settecentesco, ancora presente, immette in un cortile interno (anticamente parcheggio delle carrozze) nel quale è presente una cantina e dal quale parte una lunga scalinata che porta al primo piano dove sono collocati gli appartamenti. Nel cortile d'ingresso è anche visibile lo stemma di famiglia ("Robur et Splendor") con leone a tre stelle a man destra. Le diverse ali del palazzo furono, nell'immediato dopoguerra,suddivise tra gli eredi di Don Giustino .La parte più antica dei ricevimenti è quella che è rimasta a mio padre Ottavio, che è l'unico tra i 4 discendenti diretti ad averne conservata la proprietà. Quest'ala del palazzo è stata ristrutturata da mio padre, salone e cappella negli anni '80, mentre gli attuali proprietari hanno provveduto alla ristrutturazione della zona della soffitta che sovrasta l'intero palazzo.Lo stemma familiare è visibile nel soffitto del salone (non sul pavimento) che contiene affreschi e dipinti-ritratti dei d'Alessandro, una consolle antica ed una cassapanca settecentesca con stemma con leone a man destra. Altri mobili, libri, consolle sono suddivisi tra i discendenti dei d'Alessandro"(da www.iagiforum.info,I Nostri Avi,Famiglia d'Alessandro).
In questo paese del Foggiano fu presente da metà ‘700, forse di provenienza dalla vicina città provinciale, un nucleo dei d’Alessandro dalle condizioni agiate, come testimonia una causa ottocentesca, svoltasi da taluni eredi della famiglia contro il Comune di Deliceto. La lite, documentata da una pubblicazione giuridica (Dei Privilegi dei testamenti ad Pias Causas, cassazione di Napoli, d’Alessandro contro il Comune di Deliceto, Napoli 1887),riferisce di una grossa eredità, appartenuta al canonico locale Giacomo Casati, che nei vari testamenti redatti “causa mortis” indicò, quali beneficiari dell’ingente somma donata, sia il monastero-chiesa della Consolazione (in prima battuta) per il mantenimento dei missionari ivi presenti e sia l’Università-Comune (nel caso di mancanza dei religiosi) impegnata a sostenere i maritaggi e la sopravvivenza dei più bisognosi. Ma a morte del Casati nel 1746, intervenne avanzando anche delle pretese ereditarie un di lui familiare congiunto, Giampietro d’Alessandro, uomo probo e ricco, per sé e suoi posteri e successori (p.5). Il monastero-chiesa ebbe la meglio sui pretendenti e gestì questi beni donati fino al 1861. Un secolo dopo l’apertura del testamento, quindi,con la legge sabauda sulla soppressione dei beni religiosi, detto patrimonio del Casati fu ancora materia di contesa, tra il Municipio di Deliceto e gli eredi d’Alessandro. Quest’ultimi, nelle persone di Giuseppe e Domenico d’Alessandro, di Giandomenico di Giampietro, istituirono giudizio presso il tribunale di Lucera nel 1883, rivendicando detti beni familiari, tra l’altro, fissati in uno specifico codicillo. La causa, comunque, fu rigettata e riproposta in appello alla fine dell’800 con esisti a favore dell’amministrazione comunale.