Il corso Maria Teresa in Napoli,inaugurato in onore della regina delle Due Sicilie nel 1860 su tracciato del 6 aprile 1853, fu la nuova strada panoramica collinare che stimolò la costruzione di nuovi palazzi prestigiosi di famiglie aristocratiche e benestanti del regno.L’area era ancora formata da ampi appezzamenti agricoli, spesso terrazzati e recintati con i rispettivi casali di proprietà.
Tale evento di ampliamento urbanistico della città fu festeggiato da tanti napoletani con la famiglia Reale e non passò di certo inosservato al giovane duca Giovanni M. d’Alessandro(1824-1910), gentiluomo di Camera con Esercizio di S.M. re Ferdinando II di Borbone. Costui,legato ad un sogno di riscatto di nuovo splendore familiare, fu testimone dall’infanzia delle grosse restrizioni economiche di casa d’Alessandro, gestite da suo padre D.Nicola II, che portarono alle dismissioni del patrimonio immobiliare napoletano onde sopperire al forte indebitamento del duca ceramologo Pasquale M.
In questa fase di crisi familiare della prima metà dell’800 il duca Giovanni M. crebbe, spostandosi di residenza tra l’area di Pizzofalcone e S.Ferdinando (dove,tra l’altro, era stato battezzato nella chiesa di S.Marco di Palazzo ed il 22 aprile 1850 si sposò presso la chiesa di S.Anna di Palazzo con Anna M.Ruggiero di Albano, figlia di D.Cosimo e D.Provvidenza Loverso).
Fu educato agli studi umanistici e divenne cultore delle discipline archeologiche, tanto da esserne interessato per tutta la vita.La sua passione per l’archeologia, che lo portò non solo ad ospitare (su invito di re Ferdinando II) lo storico tedesco ed archeologo Teodoro Mommsen presso il castello di Pescolanciano (1846-47) ma anche a sovraintendere diverse campagne di scavi nella zona molisana di Pietrabbondante (zona archeologica della Bovianum Vetus nella contrada “Caricatello” e monte Caraceno già ispezionata dal Mommsen e Friedlander nel 1846 e padre Garrucci nel 1851), fu premiata con la nomina ad ispettore dei regi scavi del “Distretto d’Isernia” e sovrintendente regio nel 1857, dopo le segnalazioni dell’isp. degli scavi di Campobasso Ambrogio Caraba.L’incarico di sovrintendente agli scavi archeologici, come risulta da documenti epistolari presso l’archivio d’Alessandro in Isernia, fu conferito al duca Giovanni dal principe di Bisignano, sopraintendente generale di casa reale. Quest’ultimo segnalò con lettera, datata 30 agosto 1857, la presenza di “avanzi e monumenti di antica città..un Anfiteatro” con rinvenimento in loco di “oggetti antichi in bronzo,ferro ed argilla,monete d’oro,argento ed altri metalli,lapidi con iscrizioni, sepolcri con arnesi di guerrieri ed altre anticaglie” .Coadiuvato da Francesco Sforza di Pietrabbondante, addetto alla sorveglianza degli scavi(già domestico di Palazzo Reale), e dall’architetto Gaetano Genovese, il duca si impegnò nell’organizzazione dei lavori e del recupero e custodia di tutti gli oggetti archeologici rinvenuti nella zona di Pietrabbondante, anche di quelli già scavati ed acquisiti da persone locali. Le operazioni di scavo portarono alla luce gran parte del teatro sannita ed il tempio. D.Giovanni Maria, tra l’altro già appassionato collezionista di reperti archeologici, donò all’ “Augusto Sovrano” alcuni oggetti di attribuzione sannitica, recuperati anni prima dei suddetti incarichi e “provenienti dalle scavazioni di Pietrabbondante”. Finirono poi al museo borbonico “gli oggetti di bronzo”: “una statuetta virile mancante del capo di forme sproporzionatissime ed allungate..due zampe di cavallo del medesimo stile, e forse ancora di un rozzo ed incerto quadrupede..un elmo abbastanza conservato..una figurina di Ercole con pelle di leone,che alza la clava a pugnare,di lavoro romano..un gallo mancante della testa formato di due lamine..un colatojo di perfetta conservazione, ed un piccolo vaso” . Secondo quanto segnalato dal Bisignano con lettera del 17 settembre 1857 gli oggetti antichi pervenuti al duca d’Alessandro furono: “statuetta muliebre panneggiata mancante della testa, delle braccia e delle punte dei piedi.Frammento di una grande mano destra.Un pezzo di un gran piede sinistro con le dita, mancante però della parte posteriore.Bronzi.Un cimiero rotto in alcuni punti;nel davanti si ravvisano i segni di taluni colpi.Un gallo in due pezzi, mancante della testa e di parte della coda con i piedi di bronzo fuso un sol pezzo.Grande moneta.Venti piccole monete.Dodici fibule.Sei pezzettini.Creta.due vasettini” .Durante gli scavi dell’ottobre in poi del 1857 “l’ispettore Duca di Pescolangiano” rinvenne una moltitudine di variegati reperti archeologici sanniti .
All’amore per gli studi delle cività antiche affiancò la passione per la sua monarchia legittima, mettendosi al servizio del re Ferdinando II e poi di suo figlio Francesco II. Nel 1847 a soli 23 anni veniva nominato “Capo Plotone della Guardia cittadina”(Guardia di Interna sicurezza), comandata da S.A.R. Leopoldo di Borbone principe di Salerno. E’ del giugno 1850, la lettera di compiacimento pervenuta al duca Giovanni M., quale appartenente allo squadrone “guardie di onore” della provincia molisana ed a firma del capo-squadrone, duca di Caianello, in carica, nonché per superiore determinazione del “Real Ministro di guerra” contenente un particolare elogio per essersi quegli distinto, insieme ad altri personaggi, nel servizio di scorta, prestato con encomiabile zelo, in occasione del “felice ritorno nello Stato di Santa Chiesa” di sua santità, il Papa Pio IX .Nel 1851 fu eletto consigliere provinciale di Campobasso, mentre nel 1854 assunse l’incarico di capo plotone della Guardia d’Onore della provincia di Molise divenendone nel 1855 capo squadrone ed infine presidente del consiglio del distretto di Isernia. Il“31 agosto 1859, S.M. il Re Francesco II si degnava di accogliere le suppliche del duca di Pescolanciano D.Giovanni Maria d’Alessandro, Gentiluomo di Camera con esercizio della M.S. e prendeva in considerazione i molti servizi da lui resi come Capo Squadrone delle Guardie d’Onore in Provincia di Molise.Accordava ad esso duca la croce di Cavaliere di Giustizia del S.R.M. Ordine Costantiniano”. E’ probabile che a seguire sia uscito anche il decreto Ufficiale in data 19 febbraio 1860. In una lettera del 28 aprile 1860 alla madre, D.Giovanni segnalò il suo impegno militare su Campobasso, dove il 29 fu organizzata la “rivista”, così come a Larino.La fedeltà ai Borbone Due Sicilie lo videro sostenitore dei moti insurrezionali d’Isernia, allorquando le truppe garibaldine irruppero nella nazione napoletana. In un telegramma del 1860 inviato dal governatore della provincia di Molise Nicola De Luca al ministero della polizia in Napoli si riferiva quanto segue:” Dopo la ribellione di Isernia la reazione si è manifestata vittoriosa nei Comuni di Civitanova,Carovilli,Pietrabbondante,Pescolanciano e Chiauci. Mi si dice suscitata e capitanata dal Duca di Pescolanciano che tiene in agitazione il restante dei comuni del distretto di Isernia”. Il duca d’Alessandro si affincò al vescovo Saladino d’Isernia ed al conte di Laurenzana, “il quale assoldava gente in Piedimonte,pare per assalire il Nullo in Boiano.
Questi moti rivoluzionari contro la borghesia liberale furono sostenuti dall’intera popolazione contadina residente sia in Terra di Lavoro,nel Sannio, in Abruzzo e Molise. Affiancati da militari borbonici sbandati ed aristocratici locali, riconquistarono a fine 1860 le città di Pontecorvo, Sora, Teano, Venafro,Piedimonte d’Alife ed Isernia importante nodo di comunicazione per collegarsi a l’Aquila da Caianello a Castel di Sangro. La difesa d’Isernia da parte degli insorti filo-borbonici fu condivisa anche dallo stesso vescovo Saladino che era in stretto contatto con il duca Giovanni M. L’8 settembre era stato instaurato il governo provvisorio filo-garibaldino per essere destituito da un tumulto di 700 contadini (28-30 settembre). Una lettera del 22 settembre dello stesso anno,indirizzata da Feliceantonio Tirone al duca d’Alessandro da Campobasso “per ordine del Signor Governatore della Provincia” per “l’adesione a tutta la Guardia”, indicava nel De Santis l’incaricato di formare una “colonna con la Guardia Nazionale” per recarsi “a Colle, a Circello per frenare la reazione”. Fu riferito che D.Carlo Mastrogiovanni di Ferrazzano si occupò degli “arresti per ordine del governatore e del generale”,mentre fu ordinato ai “Trombetti” di arruolarsi (“l’adesione”),onde garantirsi anche la paga spettante. La lettera si concludeva con questa descrizione “delle cose,se voi credete di riprenderne il Comando vi sarò tenuto,onde esimermi la tanta responsabilità e nell’affermativa ne farò un dovere riportarvi la Casa e tutt’altro” . Un appello a schierarsi con i piemontesi che non esordì alcun riscontro d’interesse nel duca borbonico, il quale in questo perido trovavasi formalmente a Napoli all’indirizzo della famiglia di lui in strada Egiziaca a Pizzofalcone n. 20. Caduta poi Gaeta (13 febbraio 1861)sotto gli attacchi dei piemontesi e rioccupato il Molise, il duca d’Alessandro trovatosi isolato fu costretto ad allontanarsi dalle sue terre, abbandonando il vecchio maniero per seguire in esilio il suo re,rifugiandosi prima in Tauro.
L’impegno nel riassetto delle residenze gentilizie
Rientrato dall’esilio romano,unitamente ai suoi familiari, nel 1866 a Napoli, ove domiciliò inizialmente in S.Giovanni in Carbonara 112 (come dal contratto per ricerca araldica commissionato ad Erasmo Ricca), il duca d’Alessandro continuò a gestire al meglio le rimaste proprietà terriere molisane ed il restante patrimonio immobiliare. Già si era prodigato nel completamento dei restauri al castello che assunse destinazione di palazzo per la residenza estiva, con contratto d’appalto firmato il 17 maggio 1849 con la ditta costruttrice Giuseppe ed Ermeregildo De Vincenzo su progetto dell’arch.Antonio Bellini di Campobasso. Risistemò,poi, anche la casina di caccia,detta “casina del Duca”, situata in località Sprondasino di Civitanova del Sannio. Questa signorile dimora fortificata da quattro garitte ad angolo,aveva un tempietto per il rituale religioso.La casina era dotata di depositi vari,una cantina ove veniva fatta la molitura delle olive con torchi a mano (trappeti) e dispense.Il piano terreno ospitava ambienti di rappresentanza,mentre al primo piano trovavasi l’alloggio padronale. I lavori furono eseguiti dalla medesima ditta De Vincenzo con la seguente spesa:
Per la ricostruzione del villino ducati 1062,95
Per la costruzione della cappella ducati 216,12
Spese varie per la casa ducati 147,69
Per un totale di ducati 1426,76
L’inaugurazione avvenne nel 1869 e fu presente anche il concerto bandistico di Fossacesia, costato ducati 13,50. Questo immobile rustico era circondato da un ampio appezzamento su cui il duca,per la sua vocazione per l’agricoltura,aveva fatto coltivare diverse specie di piante di frutta, ortaggi con vigneti e gelsi per la sua nascente attività di allevamento del baco e produttore della seta (1857-1873).
Facendosi anche forte del persistere di un’economia familiare basata sulla rendita fondiaria di fine ‘800, seppur non più equiparabile ai livelli del passato, nel 1870 il duca Giovanni cominciò a maturare sempre di più l’idea d’intraprendere un grosso investimento immobiliare,realizzando un imponente palazzo gentilizio (un nuovo palazzo Pescolanciano)al corso Vittorio Emanuele.Al riguardo, il di lui figlio D.Fabio, lasciò scritto questa successiva memoria sull’acquisizione con sua motivazione: “Il palazzo fu edificato da mio padre duca Gio. Maria nel 1875 per sostituzione dei due magnati palazzi, venduti dal duca Nicola fra via Nardones e via Carminiello. Questo secondo palazzo conteneva un museo, armeria della Casa ducale e nelle mura erano custodite casse contenenti monete d’oro e d’argento. Con il doloso incendio fu distrutto gran parte di questo tesoro, insieme al palazzo. Il duca Pasquale pel dolore impazzì, ma anche nello stato anormale lo ricostruì contraendo anche debiti rovinosi che costrinsero il figlio duca Nicola ad interdire il padre e vendere i due suddetti palazzi, insieme alla villa a Piedigrotta con la tomba di Virgilio. Da qui ebbero inizio le sventure. L’incendio avvenne ai dieci di giugno 1798. Questo maestoso palazzo costò al duca mio padre 1.000.050 lire, nel 1895 fu espropriato e venduto per circa 300.000 lire. Nel solo salone da ballo spese 100.000 lire per decorazioni; il museo e la sala d’armi furono venduti nel 1890 per far fronte alle pretese dei coniugi di Civitanova, che furono la rovina della Casa Ducale.
L’acquisto dei fondi rustici e la costruzione del palazzo al corso Vittorio Emanuele
Con istrumento del 30 giugno 1872, rogato dal notaio Leopoldo Gallo di Napoli, il duca Giovanni Maria d’Alessandro acquistò da Luigi Gargiulo, a sua volta acquirente da Vincenzo M.Carafa, un suolo edificatorio al corso Vittorio Emanuele, già corso Maria Teresa d’Austria, che misurava sul fronte stradale metri 64,45, sul lato settentrionale metri 52,90 e sul lato orientale metri 84,30, senza conoscerne il prezzo. Parte di questo terreno rimase come fondo rustico, annesso all’immobile. Successivamente, il 27 settembre 1872, acquistò dallo stesso Gargiulo un altro appezzamento di terreno, sul lato orientale rispetto al primo lotto, di metri quadrati 42 a causa di alcune controversie sorte con i confinanti. Seguì altro piccolo lotto acquisito. Su ambedue i lotti il duca vi fece costruire, a far data dal 1875, su progetto dell’ing.Filippo Botta un grande palazzo di cinque piani “del tutto isolato,mentre il solo lato settentrionale è addossato all’altra parte di banco-tufaceo anche di proprietà Pescolanciano, e che forma il prolungamento alla naturale solida piattabanda su cui è fondato l’intero edificio” .La spesa complessiva ammontò a lire 622.997,18, regolarmente liquidate, anziché 643.997,63 come da richiesta dal costruttore-progettista. L’ammontare iniziale dei costi si aggirò intorno ai 240-290.000, così come la spesa totale si aggirò, allora, intorno al milione di lire, come ricordato anche da D.Fabio d’Alessandro.Tra le varie fatture per lavori al palazzo, vi fu quella per lampade e lumi per le scale del “lampista” Antonio De Vivo (sede in strada Monte di Dio 76, Napoli).
Il duca nel corso d’opera fece alcune osservazioni al progetto di Filippo Botta “al solo fine di avere maggiore spazio per la sua lunga famiglia”. Fra le osservazioni sollevate, chiedeva anche un locale per la cappella al piano terreno, possibilmente da rendersi pubblica, una stanza-guardaroba, un bagno al primo piano con “bagno ruolo fisso e tubo di conduttura, studio con archivio sottostante alla camera da letto con scaletta di comunicazione interna”. Il fabbricato aveva una lunghezza frontale di palmi 200, di cui 180 di fabbricato ed il resto per due giardinetti laterali, mentre la profondità era di palmi 104, oltre l’avancorpo del portone d’ingresso . Per la costruzione furono usati materiali pregiati, tra i più costosi in commercio, e tutti gli ambienti erano dotati delle più moderne comodità; basti considerare che per il solo salone da ballo D.Giovanni M. spese per decorazioni circa 100.000 lire.Si volle costruire una degna rappresentanza del casato, tanto che il duca, si legge in un appunto di suo pugno, fece un notamento dei ritratti dei personaggi della casa d’Alessandro, da farsi eseguire su degli ovali di rame, servendosi dei ritratti esistenti che si riferivano ai suddetti personaggi.
In fase di lavori avanzati si cercarono altri finanziamenti:
1878 luglio 13. Con atto del notaio Alfonso Martorelli da Napoli, il duca Giovanni Maria si disse debitore di Buonocore Teresa della somma di ducati 50.000 al tasso annuale dell’8%, prestito che andava restituito entro sei anni.
1878 settembre 2. Con rogito del notaio Giuseppe Amodio da Napoli, dichiarò che sopra una parte delle due proprietà acquisite nel 1872 aveva “edificato un vasto e colossale fabbricato in atto di completamento”. Occorrendogli per il completamento dello stesso una somma di denaro, chiese un mutuo a Teresa d’Agostino ed a Salvatore, entrambi di Napoli, di lire 25.000 dalla prima e di lire 10.000 dal secondo obbligandosi alla restituzione nel termine di anni quattro. Nel 1885, il debito era ancora insoluto.
1878 settembre 30. Con rogito del notaio Giuseppe Amodio di Napoli il duca Giovanni Maria d’Alessandro ottenne un mutuo da Giovanni Sofia e Pitò Nicola della somma di lire 30.225,58 al 7½ %. Nel 1884, il debito era ancora insoluto.
1878 novembre 13. Con rogito del notaio Giuseppe Amodio di Napoli, Ludovico Giovannino fu Luigi concesse al duca Giovanni Maria un mutuo di lire 25.000 all’interesse annuo dell’8 ½ %. La somma servì per il pagamento alla ditta Francesco Ausiello per alcuni lavori eseguiti nel suddetto palazzo, “vasto e colossale”, prossimo all’intero completamento. Il duca dichiarò che sul palazzo gravitavano già altre due ipoteche: una di lire 50.000 a favore di Teresa Buonocore e di Nicola Fitò. Nel novembre del 1884, il debito era ancora insoluto.
1879 luglio 29. Con rogito del notaio Scotti, il duca Giovanni M. contrasse a favore di Francesco Mussi Gallarati di Alessandro e di Federico Arduino da Toribo un debito di lire 40.000 all’interesse annuo dell’8% con pagamento semestrale. Al 1885 il debito era ancora insoluto.
Il 22 luglio 1879 sorse anche una lite per un muro confinante, lato orientale, della proprietà dei coniugi conte Ferdinando Lucchesi Palli e contessa Giulia Brunas Serra.Il duca Giovanni rivendicava con suo avvocato Gennaro Caldo “la spesa della metà del valore del muro..metà del valore del suolo sopra cui il muro è costruito, come anche le spese occorrenti per rendere solido quel muro”. I coniugi ribatterono la decisione arbitraria di tali lavori, aggiungendo queste contestazioni:
“a) Di addossare la rivolta del suo edificio al muro suddetto, b) Di aprire de’vani senza la distanza legale, c) Di costruire la tubolatura immonda con collo intervallo di legge, d) Di appoggiare la lanterna e la carace del tubo di piombo pel gas al muro succennato, e) Di rimuovere la terra vegetabile addossata al muro, e di tagliare il monte tufo accosto al detto muro. Il Lucchesi Palli in data 29 maggio 1879 aveva pure inviato proposta di vendita al d’Alessandro per la “comunione del muro contiguo..purché fosse per tutta la sua lunghezza”. Il 4 agosto il duca intervenne con altra istanza su “atti abusivi” realizzati dalla coppia, quale l’illegale “altezza minore di metri due dal pavimento di una terrazza al confine della proprietà del Duca”, aggiungendo che anche “i coniugi Lucchesi Palli hanno ridotta a casamento anche la loro porzione montuosa per edificarvi.
Il 21 novembre 1880, invece, con atto del notaio Carlo Campanile di Napoli, D.Giovanni M. “nell’occasione del matrimonio del figliuolo Nicola M.III d’Alessandro(1857-1894) marchese di Civitanova con la Sig.ra Carolina Gaetani dell’Aquila d’Aragona donò al medesimo irrevocabilmente, tra vivi e col patto riversivo, in usufrutto e proprietà, la metà del primo piano nobile del suddetto Casamento al Corso Vittorio Emanuele esposta ad oriente e mezzogiorno, comprese le camere di rappresentanza, fino alla sala d’armi” . Con tale matrimonio del primogenito Nicola M. (1880), il duca d’Alessandro si impegnò anche per la dote della di lui sposa Gaetani per un importo di 255.000 lire(130 più 125), di cui anticipò una somma consistente (più di 10.000 lire). Queste consistenti uscite di liquidità furono sostenute con il ricorso a mutui bancari per un totale stimato di 755.000 lire. Il duca Giovanni Maria ed il figlio marchese Nicola, a garanzia dell’impegno matrimoniale, dovettero offrire l’ipoteca in favore della suddetta damina Carolina Gaetani sulla tenuta di Sprondasino in Civitanova del Sannio, estesa tomoli 1.600 (pari ad ettari 448).
La residenza nel nuovo palazzo e la gestione dell’immobile dal 1878
La famiglia ducale dal 1878, quanto prima dell’ultimazione dei lavori edilizi, prese possesso del primo piano nobile, formato da circa 24 stanze. Dallo scalone principale si accedeva alle anticamere, poi alla cucina e stanze dei domestici con stanza da stiro, poi le varie stanze da letto per la numerosa figliolanza (15 figli) e rispettivi guardaroba, per poi arrivare al grande salone con loggia panoramica contornato dalla “sala d’arme” e “museo”. Si proseguiva sull’altro lato con altre stanze da letto, studio e stanza da pranzo. La planimetria iniziale dell’appartamento con sua disposizione delle stanze, naturalmente subì modifica dopo il 1880 con il matrimonio del primogenito e sua permanenza con i congiunti al palazzo.
Tra i ricordi familiari si menziona il grande festeggiamento di detto matrimonio con centinaia di invitati, prima ancora quello di D.Aurora M. d’Alessandro(1855-1920) con il nob.Raffaele dei baroni Petti (9 gennaio 1878) o di D.Fabio d’Alessandro(1863-1954) con D.Silvia dei marchesi Stellati (9 luglio 1885) e taluni balli organizzati in questo periodo con i principali esponenti delle famiglie aristocratiche cittadine, nonché vari salotti culturali con personalità di spicco dell’epoca.
Vi fu anche il primo tentativo di fittare il resto dei nuovi appartamenti del palazzo Pescolanciano subito dopo l’ultimazione dei lavori, facendo ricorso al volantinaggio. Esiste, infatti, in Archivio una bozza di stampa corretta a mano che così riferiva:
“SI FITTA sul corso Vittorio Emanuele, nel miglior sito di esso, nel Palazzo Pescolanciano, con al veduta della città, intero golfo e giardini, diviso in grandi e piccoli appartamenti da 10 a 16 oltre a due rez de chassé, con mobili e senza, o anche tutto il casamento ad uso di hotel. Gli appartamenti tutti decorati con ricercatezza, scala principale di marmo a due braccia, altre secondarie per servizio, di pietrarsa ed ardesia; con tutti i possibili comodi all’inglese, lavamani di marmo con rubinetti, cucine alla francese, rispettiva diramazione di tubatura per acqua e gas in tutte le scale e cucine.
Certamente la campagna promozionale per fittare non diede buoni risultati; il duca Giovanni Maria, in considerazione che nel 1882 scadevano i pagamenti per numerosi mutui contratti, chiese ulteriori prestiti:
1882 giugno 1. Il duca Giovanni M. si riconobbe debitore della somma di lire 1.225 nei riguardi di D’Onofrio Pasquale, Marinelli Paolino, Marinelli Beniamino e Antonelli Vincenzo. Al 1885, il debito era ancora insoluto.
1884 data imprecisata. Il duca Giovanni M. contrasse con Russo Leopoldo di Raffaele da Secondigliano un mutuo di lire 10.000 all’interesse annuale del 12%.
Il sequestro dell’immobile e la vendita dal 1885
Con il crescente e preoccupante indebitamento della famiglia d’Alessandro fu progettata pure una doppia proposta di finanziamento al principale istituto bancario napoletano. Si pensò di chiedere complessivamente la somma di lire 350.000, oppure lire 150.000, con l’impegno di estinguere i mutui per una somma complessiva di lire 200.825,58, restando valida l’iscrizione del mutuo a favore del Credito fondiario. Il palazzo era stato valutato lire 712.035 con una rendita di lire 40.942.Poiché neppure questa proposta ebbe esito positivo, il duca intraprese trattative con un certo Luigi Fiorentino da Sorrento, domiciliato in Napoli presso l’hotel Vesuvio in via Partenope; venne finanche preparata una bozza di contratto senza data con la quale, tra l’altro, si stabiliva che il duca Giovanni Maria vendeva il palazzo in Napoli ed ogni sua altra accessione e pertinenza, sita in Napoli al corso Vittorio Emanuele, per la somma di lire 362.000 così ripartita: lire 62.000 per l’appartamento di proprietà del marchese di Civitanova sito al primo piano, come da atto matrimoniale, e lire 300.000 per la restante parte di proprietà del duca. L’intera somma doveva servire per pagare i mutui gravanti sul palazzo (circa 320.000 di solo capitale); poiché la somma richiesta era insufficiente, la banca di Assicurazioni diverse ed il signor Tartarone restavano creditori “pur permettendo la cancellazione delle loro iscrizioni attuali sul palazzo, sia contro il Duca e sia contro il Marchese”. Di conseguenza il palazzo restava venduto, anche se non tutti i mutui gravanti su esso venivano soddisfatti. Non fu proprio così perché uno specifico articolo del compromesso prevedeva la possibilità ai venditori di poter tornare ad essere proprietari dello stabile, confermando le inesauribili capacità del duca nel tentativo di salvare la proprietà del palazzo perché doveva degnamente rappresentare la nobiltà del casato. Il testo relativo alla riserva così recitava : “Resta pattuito però tra entrambi i venditori e il compratore la facoltà della ricompera nel termine di legge, da esercitarsi però per l’intero palazzo ed accessori, così come oggi il compratore lo acquista, dovendosi relativamente a questa facoltà considerare il palazzo come comune ed indiviso, per guisa che resti l’esercizio del riscatto a favore del padre e del figliuolo e rispettivi eredi ed aventi causa possibile solo quando si eserciti per l’intero palazzo, pur essendo il diritto esperibile dall’uno o dall’altro o dai loro eredi congiuntamente in parecchi o da uno solo tra essi per sé medesimo. All’infuori del riscatto dell’intero palazzo ogni altra facoltà è preclusa. Nel caso però che detta facoltà del riscatto si eserciti nei sensi accennati, il compratore avrà diritto ad essere rifatto oltre che del prezzo attuale di lire 362 mila e di tutte le spese erogate pel presente atto poste a suo carico come sarà appresso dichiarato, anche di qualunque altra somma spesa per miglioramenti o abbellimenti del palazzo e di ogni sua parte, e tutto questo oltre ad un premio del 5% sull’intera somma risultante delle anzicennate partite del prezzo, spese per l’atto presente, e spese di miglioramento e altro.E a maggior garentia del riscatto esperibile solo per l’intero palazzo, resta espressamente convenuto che il pagamento a farsi per l’esercizio di questo, di tutte le somme sopra dette, dovrà considerarsi come un’obbligazione indivisibile nei rapporti dell’attuale compratore, diventato allora creditore, e degli attuali venditori, i quali ultimi non potranno che come tale trasmetterla ai loro successori ed aventi causa, allo intero soddisfacimento di essa avendo subordinato sempre ogni riscatto”. Purtroppo, neppure questo tentativo andò a buon fine tanto che il duca ed il figlio Nicola furono costretti a chiedere un mutuo al Credito fondiario del Banco di Napoli non solo per riscattare quelli già scaduti e gravanti sulla proprietà del palazzo, ma anche per potersi definitivamente liberare di tutti i suoi debiti che rappresentavano somme non indifferenti, utilizzate contro di lui anche per ragioni politiche. Pertanto, furono aperti i seguenti nuovi finanziamenti:
1885 gennaio 3. Con rogito del notaio Giuseppe Balernitano da Napoli, il duca Giovanni M. ottenne dal Credito fondiario del Banco di Napoli all’interesse annuo del 5% i seguenti mutui, così suddivisi con iscrizione ipotecaria sul palazzo “Pescolanciano” non ancora ultimato:
A) Lire 30.000 al compimento del pianterreno;
B) Lire 22.500 al compimento del pian terreno;
C) Lire 50.600 al compimento dell’intero secondo piano;
D) Lire 44.000 al compimento dell’intero terzo piano;
E) Lire 30.000 al compimento dell’intero quarto piano per un totale complessivo di lire 177.000.
1885 gennaio 20. Con rogito del notaio Tavassi, il duca Giovanni M. contrasse un mutuo di lire 25.000 all’interesse del 6% con il cav.Anfora.
1885 aprile 6. Con rogito del notaio Giuseppe Maria Vitullo da Pietrabbondante, il duca Giovanni M. sottoscrisse altro mutuo con Francesco Paolo Carosella di lire 30.000 all’interesse del 7%.
A mezzo del notaio Giuseppe Salernitano furono pure accese sei ipoteche per complessive L.200.000, in data 11 giugno 1885,con cui si estinguevano vari debiti con atti notarili rogitati fino al 14 novembre 1885.Inoltre, sul casamento e terreno furono iscritte altre due ipoteche per L.75.000 a favore del prof.Tommaso Virricchi (27 luglio 1885) e L.15.000 a favore di Gaetano Licignano .
Nel gennaio del 1886, con altro atto del notaio Salernitano, facendo espresso riferimento a precedenti atti notarili, il Banco di Napoli perfezionò il mutuo in cartelle fondiarie, secondo precise regole per il duca Giovanni M. ed il figlio marchese Nicola M. rispettivamente nelle somme di lire 495.000 e 260.000, per un totale di lire 755.000. Il mutuo venne convertito in dieci distinte ipoteche sopra i beni di loro proprietà in provincia di Campobasso e di Napoli, provvedendo nel contempo ad estinguere nove ipoteche già iscritte sulle dieci proprietà da ipotecare per la somma di lire 732.000. Di conseguenza, ai d’Alessandro restavano poche migliaia di lire ! I beni sui quali i d’Alessandro fecero gravare il mutuo furono i seguenti:
-Pescolanciano: Collemeluccio, mulino e taverna L.70.000,00
-Carovilli: Solamente il Parco L. 40.000,00
-Civitanova: Sferracavallo L.120.000,00
- Id. Monte Moriconi L.170.000,00
- Id. Sprondasino,Scalzavacca L. 80.000,00
-Duronia: Santo Janni masseria
- Id. Masseria del Duca L. 20.000,00
- Id. Montagnola
Per un Totale di L.510.000,00
oltre al palazzo di Napoli valutato con l’apprezzo dell’architetto Nicola Breglia nel luglio-agosto
1888 per un primordiale valore netto di L.602.374,74 e poi di lire L.712.035.
Sempre in quest’ultimi anni furono chiesti i seguenti finanziamenti:
1886 dicembre 2. Il duca Giovanni M. contrasse un prestito all’interesse annuo dell’8% per lire 10.500 da restituire in sette rate annuali, ciascuna di lire 1.500.
1886 agosto 8. Con rogito del notaio Giuseppe Liberantonio da Napoli, il duca Giovanni M. ottenne dal Credito Fondiario del Banco di Napoli un ulteriore mutuo di lire 19.000 all’interesse annuo del 5% da restituire entro cinque anni, concedendo ipoteca al Credito stesso sul fondo rustico, esteso ettari 34.90.60 di detto parco nel comune di Carovilli.
1886 dicembre 15. Il duca Giovanni M. si riconobbe debitore con rogito del notaio Giuseppe Maria Vitullo da Pietrabbondante della somma di lire 4.000 all’interesse annuo del 7,50% nei riguardi di Annibale Di Tullio da Pietrabbondante.
Seguirono ancora altre somme prese in prestito:
1887 gennaio 13. Il duca Giovanni M. si riconobbe debitore della somma di lire 3.500 nei riguardi di Annibale Di Tullio, notaio in Pietrabbondante.
1887 febbraio 20. Il duca Giovanni M. contrasse un debito di lire 10.000 all’interesse annuo del 7% con Sferra Stefano.
1887 agosto 8. Il duca Giovanni M. sottoscrisse altro prestito con Sferra Stefano di lire 21.000 con l’interesse annuo del 6 ½ %.
Ma l’assorbimento dei costi di costruzione con gli interessi passivi dei numerosi finanziamenti portò ancora il d’Alessandro a chiedere liquidità a più soggetti privati:
1888 data imprecisata. Il duca Giovanni M. contrasse ulteriore debito con il menzionato Sferra per lire 21.000.
1888 data imprecisata. Il duca contrasse con Teresa D’Uva, vedova Guerrisco, un debito di lire 6.872,02.
Nonostante questo costante ricorso al credito finanziario, la casa ducale poteva ancora contare su proprietà immobiliari e rendite sul finire del 1800. Nel fondo d’Alessandro, presso l’Archivio di Stato di Isernia, si conservano tre documenti relativi ai “fondi ed alle rendite” del duca, purtroppo senza data. Un documento contabile, compilato subito prima della concessione del mutuo fondiario da parte del Banco di Napoli ed omologato dal tribunale d’Isernia nel febbraio del 1882,da un’idea di tale situazione economica, ad esempio, con la sola descrizione della “collettiva dei beni”.
COLLETTIVA DEI BENI
1) dagli ex fondi e feudi di Pescolanciano L.27.092,85
2) id. id. id. di Carovilli L. 7.053,60
3) id. id. id. di Civitanova L.58.459,59
4) id. id. id. di Duronia L. 3.750,67
Per un Totale di L.96.356,71
5)palazzo di Napoli (valutazione del Credito
Fondiario del Banco di Napoli) L.40.942,00
Per un totale generale di L.137.298,61
Nel totale generale vi era compresa la rendita in vino, mosto, frutti gentili ed olio d’oliva che è ricavata dai territori, estesi tomoli 57 (pari ad ettari 15.86.00), di vigneti tenuti in enfiteusi nell’altro ex feudo di Pietrabbondante, come pure la rendita di tutti i fabbricati rurali. Complessivamente, i vigneti dati in enfiteusi ai naturali di Pietrabbondante erano 24, oltre ai numerosi orti e ad oltre 942 piante di olive. I vigneti davano una rendita annuale di 72.02.1/2 di mosto.
Inoltre, per quanto riguarda il bosco di Collemeluccio, furono dichiarate soltanto le seguenti rendite:
1) per fitto in grano delle aree coltivate L.4.116,00
2) per la vendita di abeti,cerri,ghiande etc. L.9.250,00
3) per la vendita di erbaggi L. 850,00
4) giardino irrigabile L. 425,00
Fu osservato in tale valutazione che non si era tenuto conto del positivo valore del legname, giacché la sua qualità e quantità, specialmente degli abeti, “fanno esser certi che nel caso di una vendita in massa del legname, oltre il valore del sottosuolo, si otterrebbe un capitale di gran lunga maggiore.Difatti, considerandosi la rendita assegnata al bosco di Collemeluccio si troverà la stessa discretissima a fronte di circa 48 mila abeti di diversa dimensione, non minore di cm 40 di diametro”. Effettivamente la rendita assegnata a Collemeluccio, ammontava ad appena lire 15.641,00. In tali descrizioni delle rendite, fu annotato che l’ammontare complessivo dei beni posseduti dal duca, sempre intorno al 1882, era il seguente:
a. il palazzo di Napoli al corso Vittorio Emanuele stimato L.492.704,00
b. i beni in provincia di Isernia stimati L.814.077,00
per un Totale di L.1.306.781,00
Nel luglio 1888, prevedendo forse azioni giudiziarie da parte del Credito Fondiario del Banco di Napoli, ormai sotto la nuova dirigenza sabauda poco accorta verso quei debitori filoborbonici (come lo fu il duca Giovanni M.fino alla morte e sorvegliato speciale dall’autorità ministeriale), in caso di mancato pagamento della somma mutuata, il duca ed il marchese d’Alessandro decisero di porre in vendita direttamente, mediante asta pubblica, il palazzo con terreno annesso onde soddisfare gli impegni assunti con detto istituto di credito. L’apprezzo di L.602.374 costituì la base d’asta da realizzare con la vendita dei vari lotti separati dell’immobile, ciascuno con suo importo preciso e modalità di pagamento. Certamente fu una decisione non sbagliata: avrebbero sì dovuto rinunziare definitivamente al palazzo, ma avrebbero avuto la possibilità con la somma ricavata di soddisfare anche quasi del tutto i mutui, gravanti sulla proprietà fondiaria. Fu diffuso un bando con tutte le condizioni di vendita (otto pagine) che così iniziava: “Il gran Casamento del Duca di Pescolanciano, e per una piccola parte, distinta come appresso, del figliuolo marchese di Civitanova, occupa una delle più importanti posizioni topografiche del corso Vittorio Emanuele, poiché niun altro fabbricato a sé dinanzi ne ostacola la magnifica visuale di un perfetto panorama, scoprendo buona parte delle sottostanti case della Città, golfo intero, dal Vesuvio a Posillipo, con le ricontanti alture e quanto altro è posto in tale ampio recinto (…) Ed a via di avere una norma certa hanno incaricato l’architetto Cav. Nicola Breglia di farne la valutazione, il quale in data del 14 luglio 1888 ha formato un dettagliato apprezzo seguito da altro chiarimento e rettifica in data 16 agosto medesimo anno (…) Si espone prima in vendita complessivamente e per valore netto di lire 602.374,74.Non verificandosi la vendita in massa si procederà alla vendita in lotti separati…Napoli,settembre 1888” .
La vendita non avvenne “in massa” e si aggiudicarono solo pochi lotti.
Nel mentre era cominciata anche la cessione della grande collezione di beni artistici ed archeologici del duca d’Alessandro, che fu appassionato di storia ed archeologia, parte della quale fu esposta alla mostra d’antiquariato organizzata in Napoli nel 1877 con rilascio di certificato di gratitudine partecipativa. Molti di questi antichi e preziosi oggetti risultarono essere parte dell’arredamento del palazzo del corso Vittorio Emanuele, tant’è che vennero catalogati in un inventario di questo periodo: L’inventario comincia dalla descrizione accurata degli oggetti presenti all’altezza della “porta principale (sopraporta):
"Piccolo elmo a coppa graffito (L.60),Corno di caccia (L.20),numero 2 Balestre complete (L.250),(...)Mensola di noce intagliata con ferro a scaletta a croce,su cui vi è un’armatura completa..(L.1.000),due piatti d’Abruzzo con cornici di noce (L.26),grande cassone di noce del ‘600 (L.2.500)(...)Gruppo di terracotta rappresentante la caccia del cervo(L.150),Mezzo busto di basalto con base di marmo bianco rappresentante una statua egiziana(L.200)(...)- dal muro lungo a sinistra: Piccolo trofeo(...)lame di damasco, una delle quali montata in argento(L.170),sciabola di finissimo damasco,cesellatta in oro e manico d’argento (L.60),grande pugnale turco con lama di finissimo damasco graffiata in oro(L.200)(...)due piatti d’Abruzzo con cornice in noce intagliata,rappresentanti personaggi mitologici e familiari (L.130)(...)braccio ed antibraccio graffiti,residui dell’armatura di Mario I Duca d’Anguillara(L.100)...due leoni di Canosa di giallo antico di cm 30x20 e base di nero antico(L.300)(...)cristalliera del ‘700 di noce con intagli dorati con arma(L.550),(...)grande guantiera orientale a due facce di conchiglie e madreperla,che fu esposta nella Sala del Tesoro (L.10.000)(...)n.8 piatti giapponesi con bacile,tazze e piattini..piatti e servizi vari della Fabbrica Reale etc".
Tra le vendite più memorabili di questi ricordi, vi fu la trilogia dei biscuit della fabbrica ducale “la Gerusalemme”, di cui rimasero foto antiche. I tre gruppi in biscuit "la Gerusalemme in catene" (n°7 sx) e la "Gerusalemme liberata" (n°7 dx) e “distrutta”apparvero in un catalogo (Catalogue d’objects d’art et de curiosite’ formant la Galerie de M.J. de Naples) di vendita all’asta tenuta a Firenze nel 1882 circa, presso l’impresa di vendita di Giulio Sambon. Furono battuti all’asta come biscuit di fabbricazione spagnola .Altro Catalogo che contenne oggetti di casa d’Alessandro fu il “Catalogo delle collezioni di oggetti d’arte antica già appartenute ai signori conte Prospero d’Epinay,duca di Pescolanciano e Cav..(maioliche, porcellane, arazzi, stoffe, armi, bronzi, argento, marmi, oggetti diversi) curato da Giuseppe Giacomini e pubblicato dallo stab.Giuseppe Civelli nel 1884.Alcuni pettorali melitensi, in questo periodo, furono ceduti al principe Ladislao Odescalchi,conosciuto a Roma durante l’esilio filoborbonico, finendo così nella sua collezione di palazzo Venezia.
Allo scopo di sanare questa preoccupante situazione debitoria, conseguenza dei vari prestiti e mutui contratti, D.Giovanni M. cercò di porre ancora in vendita (tra il 1888-1890) talune altre sue proprietà nel tentativo, fallito purtroppo, di riuscire a fronteggiare le insistenti richieste dei creditori. Tra le vendite si annovera quella del 26 luglio 1890 di un latifondo ubicato in agro di Carovilli, tra la contrada Occhietto e Pratelle, ed esteso circa 300 ettari (1.400 tomoli locali). Questa alienazione fu fatta a favore di un facoltoso signore di Pietrabbondante, Francesco Paolo Carosella. Oltre alla proprietà, il duca d’Alessandro cedette il canone della “prestazione terratica” che i contadini locali pagavano prima in “generi” (prodotti della terra) poi “in denaro” su quelle terre(diritto di riscossione formalizzato nel 1882 da una sentenza del tribunale d’Isernia). Senonchè, su istanza del Credito Fondiario del Banco di Napoli, con sentenza emessa dal tribunale civile di Napoli il 30 dicembre 1891, fu disposta la vendita a mezzo asta giudiziaria dei vari beni appartenenti alla famiglia, tra cui in particolare il palazzo Pescolanciano di corso Vittorio Emanuele e l’esteso bosco di Collemeluccio e tante altre proprietà elencate nell’atto di citazione del 10 novembre 1891. Viene chiamata a decidere la V sezione del tribunale civile di Napoli la quale, con la sentenza citata, ordinò che la vendita di tutti gli immobili precettati ed elencati nell’atto di citazione “abbia luogo a norme della Legge sul Credito Fondiario, sul prezzo attribuito ai fondi nel contratto di mutuo e giusta la ripartizione in lotti fatta dall’Ufficio Tecnico dell’Istituto nel modo seguente (omessi i confini dei singoli lotti per motivi di semplicità):
1° lotto –Parte della tenuta denominata monte Sferracavallo, in tenimento di Civitanova, della estensione di oltre ettari 243 e per il valore di lire 119.716,72.
2° lotto – Parte della stessa tenuta della estensione di ettari 87,90, per il valore di lire 90.749,46.
3° lotto – Parte della restante della stessa,estesa ettari 177,94 per la somma di lire 45.845,27.
4° lotto – Parte della tenuta denominata Sprondasino, in tenimento di Civitanova, estesa ettari 118,97 per la somma di lire 54.569,39.
5° lotto –Parte della stessa estesa ettari 146,37, per la somma di lire 40.290,92.
6° lotto – La rimanente parte della stessa estesa ettari 125,30 per la somma di lire 65.545,30.
7° lotto – Parte della tenuta denominata Sferracavallo e Monticello, in tenimento di Civitanova, estesa ettari 270, per la somma di lire 162.069,40.
8° lotto – Altra parte della stessa estesa oltre ettari 141, per la somma di lire 141.679,20.
9° lotto – La restante parte della stessa estesa oltre ettari 231, per la somma di lire 171.513,78.
10° lotto – Parte della tenuta detta di Collemeluccio, in tenimento di Pescolanciano, estesa oltre 238 ettari, per la somma di lire 38.315,51.
11° lotto – Altra parte della stessa tenuta estesa oltre 267 ettari, per la somma di lire 54.463,32.
12° lotto – La rimanente parte della stessa, estesa oltre 75 ettari, per la somma di lire 47.808,10.
13° lotto – Un quartino al casamento del corso Vittorio Emanuele di Napoli, per la somma di lire 34.638,00.
14° lotto – Altro quartino dello stesso, per la somma di lire 39.611,00.
15° lotto – Altro appartamento al primo piano dello stesso per la somma di lire 45.000,00.
16° lotto – Altro appartamento al primo piano dello stesso per la somma di lire 45.000,00.
17° lotto – Altro appartamento al secondo piano dello stesso per la somma di lire 54.000,00.
18° lotto – Altro appartamento dello stesso per la somma di lire 54.000,00.
19° lotto – Altro appartamento dello stesso per la somma di lire 47.000,00.
20° lotto – Altro appartamento dello stesso al terzo piano per la somma di lire 41.000,00.
21° lotto – Due quartini al quinto piano dello stesso per la somma di lire 33.000,10.
22° lotto- Gli altri due quartini, ivi per la somma di lire 27.000,00.
Restarono in comune tutti i lotti dell’androne, il vestibolo, la grande scala in fondo al cortile, le aiuole che precedono il casamento.
Il tribunale ordinò, nonostante l’appello prodotto da Giovanni Maria d’Alessandro, che la sentenza venisse eseguita subito dopo le formalità di legge”.
In sostanza, il sequestro portò all’alienazione del 90% dell’intero patrimonio dei beni posseduti in Molise ed a Napoli, anche a mezzo esproprio, con il consenso occulto dei nuovi governanti, facendo però salva l'onestà del duca, il suo onore, la di lui lealtà e probità, che avevano distinto nel passato sempre gli appartenenti a questo casato.
Oltre a non poter contare più sul buon nome familiare presso i privati ed enti finanziatori,tra le diverse ipotesi tramandate sul disastroso evento economico, pur considerando la sfavorevole situazione politica post-unitaria,vi fu quella che attribuì la causa non solo alle rilevanti spese affrontate incontrollatamente ma anche al primogenito e suoi familiari per il costoso ed elevato tenore di vita condotto nella Napoli di fine ‘800, allorquando si aggiunsero le negative condizioni congiunturali volte a colpire ulteriormente le già ridotte rendite agrarie.
Note:
A.DI IORIO,Antologia di Bovianum Vetus, Pozzuoli, 2005,p.172
G.MINERVINI,Bullettino Archeologico Napolitano,A.VI, Napoli, 1858,pp.188-189
A.DI IORIO,Op.cit.,p.172,
Ibid.,p.178
Vi è fattura del sarto Bartolomeo Manfredi di Napoli (sito in strada Magnocavallo,4), datata 22 marzo 1850, in cui si riporta tra i capi ordinati dal duca il “cappotto di Guardia d’Onore”, costato 4 ducati, per la carica acquisita (Archivio Centro Studi d’Alessandro, Sarti e Modiste dal 1820 al 1889)
Archivio Centro Studi d’Alessandro-ACSd, lettera del duca Giovanni M.(28 aprile 1860)
C.AGRATI,Da Palermo al Volturno,Milano,1937,p.538
Archivio Centro Studi d’Alessandro-ACSd, lettera del duca Giovanni M.(22 settembre 1860)
Archivio Centro Studi d’Alessandro, Appunti D.Fabio,Napoli, 1940
Archivio Centro Studi d’Alessandro,Bando di vendita,Napoli,1888,f.1
Archivio Centro Studi d’Alessandro, fatture De Vivo, Napoli,1877
Il palmo della mano era una misura di lunghezza pari a cm 25
Archivio Centro Studi d’Alessandro,In difesa del Signor Giov.M.D’Alessandro Duca di Pescolangiano contro i Signori conjugi Conte Ferdinando e Contessa Giulia Lucchesi Palli, Napoli,1879,pp.1-20
Archivio Centro Studi d’Alessandro, Bando..op.cit.,f.2
ASI, Fondo d’Alessandro di Pescolanciano, busta C
ASI, Fondo d’Alessandro, busta C,37, f.12, n.43
Archivio Centro Studi d’Alessandro, Bando..op.cit.,f.2
ASI, Fondo d’Alessandro, busta C.58, F.36,n.p.
Archivio Centro Studi d’Alessandro, Bando..op.cit.,f.1-7
F.BATTISTELLA, Appunti sulla fabbrica di terraglia “all’uso d’Inghilterra”, maiolica e porcellana del duca Pasquale d’Alessandro e Pescolanciano, in “ Rivista Abruzzese”, a. XLI, 3 (1988), pp. 196-203
MINISTERO EDUCAZIONE NAZIONALE, Bollettino d’arte,135-136,Roma,2006,pp. 105-109
A.CARANO, Dove i privilegi sono lenti a morire, i Baroni non temono la legge, Estratto da Almanacco del Molise, Campobasso, 1999