Il palazzo agnatizio dei d’Alessandro Pescolanciano di S.Lucia a mare in Napoli entrò a far parte del patrimonio del Casato dei Pescolanciano con l’eredità della duchessa D.Isabella Amendola, moglie del I° duca Fabio Jr. d’Alessandro (1626/28-1674/76). Costei, sposatasi il 2 gennaio 1653 con il duca Fabio con cui procreò sette figli, fu la figlia primogenita di D.Giovanni Battista Amendola, “Consigliere di Stato e Presidente della Regia Camera della Sommaria”. In una lettera di metà ottocento (Archivio d’Alessandro, Lettera Cafazzo di Bisaccia, XIX°sec.) si rinvengono preziose notizie sul suddetto personaggio e sua famiglia. Detto Gio.Battista “era figlio a Flavio Amendola di Pescopagano, dotto avvocato, come rilevasi nel dizionario storico portatile di Ladvocat”.ll palazzo gentilizio principale degli Amendola “in Napoli è a Porto…la loro casa era ove oggidì, è la chiesa detta del Monte sotto la porta dell’orologio,Porta Sibilla”. Quest’ultimo immobile,probabilmente, pervenne ad un successivo discendente, Aniello Amendola, che, a detta delle note genealogiche Cafazzo, “fu dichiarato nobile del Tribunale di S.Lorenzo della città di Napoli ai 24 di agosto del 1754, ed una figlia di costui a nome Brigida sposò ai 20 agosto 1774 Serafino Canzano di Bartolomeo, famiglia nobilissima di Messina”.
L’immobile Amendola di S.Lucia, invece, pervenne in eredità alla citata figlia di Gio.Battista, D.Isabella, secondo le volontà testamentarie paterne. La di lei sorella, D.Teresa Petra Amendola, probabilmente, acquisì altri beni successori, portandoli in dote nel matrimonio con Andrea Capuano, da cui discese D.Dianora Capuano che si maritò con i Lanario.
D.Isabella, giovane vedova del duca d’Alessandro, si risposò con D. Cesare Frezza (a sua volta vedovo di una Scondito e di una d’Avalos, fonte Archivio d’Alessandro Esame della nobiltà napoletana, 1697) e poi con Cesare Brancaccio, senza però procreare alcuna figliolanza con costoro. Nel testamento successorio di D.Isabella Amendola del 1703, presso il notaio Francesco de Ruggiero di Napoli (A.S.N., Notai del Seicento, Francesco de Ruggiero di Napoli, Scheda 1225 protocollo 52, ff.405-420 ter.), venne istituito “e fò mio erede universale e particolare don Giuseppe d’Alessandro duca di Pescolangiano, mio unico e benedetto figlio” di tutti i beni dotali ed extradotali, con esclusione del suo ultimo marito. Tra i beni successori, su cui vi era divieto di alienazione anche da parte dei futuri nipoti (figli legittimi e naturali),l’eredità lasciata dal “quondam Don Giovanni Tortelli” di lei zio, oltre alla “massaria sita a Mergeglino” e “la casa sita a Santa Lucia a mare donatami da mio padre guadagnata nel Sacro Regio Consiglio in banca di Spera e Litto appresso lo scrivano Gennaro Lanzotto che tiene le scritture autentiche e decreti si conservano nell’atto del possesso stipolato per notar Gaetano Campanile” (A.S.N., Notai..op.cit. f.412 v.).
La costruzione di questa “Casa palaziata” potrebbe risalire o all’epoca in cui il vicerè D. Pietro de Toledo inaugurò la strada di S.Lucia, lungo la spiaggia omonima (1536) o in quella successiva (1600) dei lavori di ampliamento del vicerè D.Enrico Guzman (detto conte di Olivares fece abbattere le vecchie casette dei pescatori per far costruire la via Guzman congiunta al centro città, ove vi si costruì poi la “Panatica”, edificio per la produzione di pane e biscotti per i marinai) o del cardinale Gaspare Borgia (1620), i quali incentivarono molti Casati, tra cui i Carafa ed i Macedonio, ad innalzarvi dimora. Costoro realizzarono lungo tale strada una serie di opere di abbellimento con fontane e giradini. Circa la collocazione urbanistica dell’immobile gentilizio è pervenuta precisa descrizione dal Parrino nella sua opera del 1725. Nello specifico, il palazzo trovavasi lungo la “strada di Santa Lucia”, che si affacciava sul mare, collocato tra la chiesa di Santa Lucia a mare ed il seminario de’Macedonj dei padri Somaschi ed a seguire la chiesa di S.Maria della Catena. La dichiarazione del Parrino, così, riferisce : “si vede il bel Palaggio, ove habitò per lungo tempo il Principe di Castiglione d’Aquino (Carlo I° principe il 17 febbraio 1602 o Cesare III?), e nella venuta del Duca d’Angiò il Vicerè del Regno Duca d’Ascalona, allora dal detto Principe di preziosi mobili ornato, fu già del Presidente Amendola hoggi è del suo Erede, e successore Duca di Pescolangiano di Alessandro” (D.Antonio Parrino, Nuova Guida de’ Forestieri, Napoli 1725,pp.75-76).
L’originale edificio seicentesco, come testimoniato dalle varie piante topografiche cittadine dell’epoca, doveva essere formato da soli tre piani, mentre sul finire dell’800 ed inizi del ‘900 furono aggiunti gli altri due piani.Al primo piano nobile, sopra il mezzanino della servitù, vi erano gli appartamenti di rappresentanza più prestigiosi.Lo stemma di Casa d’Alessandro, sul portale d’ingresso in pietra (tipico del periodo), molto probabilmente è rimasto fino alla fine dell’800, come lo si intravede da documentazione fotografica dell’epoca.
La suddetta casa di S.Lucia risultò, quindi, inserita nell’elenco dei beni patrimoniali dell’Inventario del Casato d’Alessandro, redatto per “l’Eredità del q.m Sig.r Giuseppe d’Alessandro olim Duca di Pescolanciano” del 1715 (Archivio d’Alessandro, Notaio D.Nicola M. Cecere, Eredità di D.Gio.Giuseppe d’Alessandro, 1715). Viene, difatti, citata la presenza di “una casa palaziata con bottegha sotto, sita in questa città di Napoli nel luogo detto a S.ta Lucia a Mare”. Tra l’altro “sopra d.ta Casa a s.ta Lucia a Mare” si pagavano “Ann.ti cinquanta di cenzo dovuti alla Casa Santa della SS.Annunziata di questa città” (confermando quell’antica tradizione familiare di legami votivi verso questa pia Istituzione).
Risulterebbe che l’immobile fu messo sempre a rendita con i diversi affitti delle unità abitative, tant’è che ad oggi non si è rinvenuta documentazione di utilizzo del palazzo quale ulteriore residenza della famiglia. Esiste, quindi documentazione contabile relativa agli affittuari, tra cui emergono nomi di personalità illustri, quale D.Giacomo Francesco Milano (figlio di Giovanni Domenico), marchese di S.Giorgio e principe d’Ardore. Costui, già noto suonatore di cembalo, con l’acquisizione del titolo agnatizio (15 agosto 1722) decise di stipulare contratto di fitto abitativo con il duca Ettore d’Alessandro (1694-1741),fissando la propria residenza presso il suddetto palazzo a far data dal 4 maggio 1722 (è probabile che a tale epoca corrisponda un rinnovo contrattuale dell’affitto, in quanto già nel 1720 risulta lo stesso marchese, o il di lui padre, citato tra gli affittuari nell’Inventario di Casa d’Alessandro, redatto presso il notaio Giuseppe Maddalena). Tale contratto fu fissato di durata pari a 12 anni (poi prorogato fino al 14 febbraio 1737) con canone di 600 ducati annui (A.Magaudda e D.Costantini, Un musicista calabrese alla corte di Francia: notizie inedite sulla residenza napoletana e il periodo francese del principe d’Ardore, in Civiltà musicale calabrese nel settecento, a cura di G.Ferrara e F.Police, Lamezia Terme 1994,p.73).Il marchese Milano utilizzò questa dimora per festeggiare alcune sue particolari ricorrenze, come il compleanno dei suoi 23 anni nel maggio 1723.
Nell’occasione, “in sua gran Casa vi furono le maggiori gerarchie tanto di questa Nobiltà com’ancora di quelli di p.mo Rango Germanico tanto di Generali, quanto di Ufficiali. Ecc.ma S.ra Principessa Acquaviva sua nipote, e la sera poi con musica sceltissima alla quale v’assisterono quasi tutti li Virtuosi di Napoli e Forastieri e vi cantarono, e suonarono anco Cavalieri per festeggiare si lieto Natalizio giorno. Li rinfreschi furono in quantità, e qualità di diversi generi, e Canditi di ogni sorte, e Tavolini da gioco, che durò quasi fino a giorno con allegria universale di si nobil brigata. La Casa stava egregiam.te composta e con bell’ordine tanto di Lumiere quanto di Argenti e alla Reggia Mobiliata” (A.Magaudda e D.Costantini, op.cit., pp.71-72).
Furono, poi, ospiti presso tale residenza del marchese Milano la “gran principessa di Toscana e l’elettore di Colonia” nel 1727, importanti personalità che richiamarono l’allora Vicerè per una visita di cortesia. Altro episodio di rilievo fu il matrimonio del citato marchese D. Giacomo F. Milano con D. Enrica Caracciolo dei principi di Santobuono, cui seguirono accurati festeggiamenti al palazzo tra il 28 ed il 30 maggio 1725. La coppia di sposi, infatti, dopo il matrimonio celebrato in Roma “si portarono al Palazzo di detto Marchese, che stava a meraviglia addobbato di ricchissimi apparati e mobili ed ivi si ritrovarono le Dame a riceverla, a quali dopo il trattenimento di sceltissima Musica, e giochi, e dopo d’essere stata tutta la suddetta Nobiltà complimentata con abbondantissimi e prelibatissimi rinfreschi di varie sorti e dolci fu trattata con una lautissima cena” (A.Magaudda…op.cit.,p.73). Seguirono altri due giorni di festeggiamenti con ricche vivande, cui partecipò il Vicerè (Michael Friedrich Von Althann).
Altro noto affittuario del palazzo d’Alessandro, sulla calata di S.Lucia, fu lo “speziere” Franco Nepita/Nepeta. “L’Insigne Franco Nepita, uomo oltre la perizia, ch’altamente possedea di componer qualunque medicamento, anche difficile a potersi manipulare, fu l’autore della pulitezza e della leggiadria delle Spezierie di medicina” (Parere di Gioacchino Poeta, primato Professore di Medicina ne’Real Studi di Napoli, Napoli 1737,p.21). Nella citata “Nuova Guida de’Forestieri” del Parrino fu indicata attigua al palazzo l’esistenza di “una ricca Speziaria, la quale contiene più stanze di cose scelte, casa del fu famoso Aromatario chiamato Franco Nepeta visitata quasi da tutt’i Forastieri, che vengono a Napoli” (D.A.Parrino, op.cit.,p.76). Nell’inventario del Casato d’Alessandro del 1720, redatto presso il notaio Maddalena, tra le unità immobiliari affittate si cita la “speziaria delli Eredi del quondam Franco Nepita” oltre ad altri inquilini. La nota contabile testimonia che la spezieria era ancora attiva a quella data, nonostante il Nepita fosse morto e dopo circa trent’anni di funzionamento dal probabile insediamento di fine ‘600.La collocazione del locale era quella adiacente al portone d’ingresso del palazzo e nel retro bottega (non affacciante sulla strada di S.Lucia) il Nepita fissò la sua dimora.
La spezieria disponeva di un vasellame personalizzato con decori (anfore decorate con la dedica “Per il Signor Francho Nepita”, vasi dalla decorazione turchina di uso farmaceutico) per la conservazione dei medicinali. Difatti, nel 1682 costui con Capaccio furono menzionati perché “i loro vasi sono dipinti in una sola faccia, e su tutto il corpo hanno come delle baccelle incavate a dintornature barocche, e sono privi di anse e con coperchio. L’ornatura è per lo più a colori gialli e cilesti,con fogliami ed uccelli” (L.Mosca, Napoli e l’arte ceramica dal XIII AL XX secolo, Napoli 1963,p.65,77,78).
E’,infine, documentata la presenza di una locanda, detta dell’Aquila Nera, agli inizi del XIX° secolo, ove si spense il 7 marzo 1802 la regina di Sardegna, la venerabile Maria Clotilde Adelaide di Borbone, figlia del delfino Luigi di Francia (e sorella dei decapitati re Luigi XVI e altra sorella Maria Elisabetta) e consorte del re Carlo Emanuele IV di Savoia (sovrano dal 1796 al 1798).La coppia reale si rifugiò in Napoli dal 1800, dopo l’occupazione francese del Piemonte. La suddetta pia regina (beatificata da Papa Pio VII) fu poi tumulata nella chiesa di S.Caterina a Chiaia.
Il palazzo di S.Lucia rimase di proprietà d’Alessandro Pescolanciano per più di un secolo e mezzo, fin quando il duca Nicola II fu costretto ad alienarlo insieme agli altri immobili, intorno al 1820-30, per sanare il grosso debito finanziario del proprio padre Pasquale.
Si rinviene che nel 1807 era ancora proprietario il citato duca Pasquale M. d’Alessandro che in un’istanza di supplica al re Borbone per la richiesta di un prestito portava a conoscenza sue varie disavventure,disgrazie economiche e vari insoluti nelle affittanze, tra cui cita il “locandiere” che gestiva la locanda-albergo nel palazzo di S.Lucia (Arch.Sta.Iser.,Fondo d’Alessandro Pescolanciano, N.p.183, fasc.1766 np) .Questa doveva occupare il primo piano, seppur nel proseguo può essersi trasferita sul piano nobile che si affacciava nel particolare giardino retrostante il palazzo. Tra l’altro, l’antico giardino aveva pozzo e statue, in parte ancora esistenti, con l’immagine araldica del leone, presente nello stemma familiare a conferma della proprietà dei Pescolanciano.
Questo piano ed il terzo risultano contenere maggiori rilievi artistici, pitture e particolari marmorei, nonché avere affacci di riguardo che fanno pensare agli appartamenti più di prestigio utilizzati dai familiari o dagli affittuari più importanti nelle varie epoche. Si notano, tra l’altro, degli affreschi sette-ottocenteschi che assomigliano a taluni presenti nell’altro palazzo di via Nardò-S.Ferdinando, forse riconducibili a stesse maestranze assoldate dal suddetto duca. Sul maestoso portale d’ingresso doveva campeggiare lo stemma d’Alessandro (lo si evince dagli agganci rimasti) poi asportato con la cessione della proprietà.
In epoca post-murattiana, la citata locanda dell’Aquila Nera, aperta da lungo tempo, modificò il nome in albergo Villa di Londra, ospitando ancora tante famose personalità anche del mondo artistico e letterario. Difatti, tra questi risulterebbe aver sostato, per un breve periodo, il poeta romantico britannico John Keats(1795-1821) nel 1820, di passaggio verso Roma, godendo dell'ottimo servizio di ristoro, della stupenda veduta panoramica sul golfo napoletano e del facile accesso alla città o area flegrea.
Secondo alcuni recenti studiosi, l’immobile viene confuso con la proprietà de Majo, sostenendo che quello ritenuto dei Pescolanciano andò distrutto dai bombardamenti nell’ultima guerra. Ipotesi che viene contraddetta non solo dalla precisa descrizione del citato Parrino (Nuova Guida de'Forestieri 1725) e delle risultanze contabili d’archivio familiare, in cui si fa cenno al palazzo Pescolanciano nel punto della curva calante della strada di St.Lucia,tra le due chiese di S.Lucia e della Catena, ma dall’ultima testimonianza scritta dell’Avv.D.Ettore E.d'Alessandro,vissuto a cavallo delle due guerre mondiali, che lasciò nota dettagliata sull'immobile, negli anni '60 ,indicando il palazzo di Santa Lucia essere ancora collocato "poco dopo la Chiesa omonima, quasi di fronte al Cinema S.Lucia, che allora era mare" (cinema poi sostituito da un supermercato). Potrebbe, invece, il de Majo essere uno dei successivi acquirenti, subentrato ai d’Alessandro negli anni ’20 dell’ottocento, su detta proprità di cui ancora non si è rinvenuto documentazione notarile di alienazione.