E' tornato al Padre il 13° duca di Pescolanciano Don Giovanni d'Alessandro.
Serenamente si è spento, concludendo la propria esistenza terrena, per riunirsi al Signore ed ai propri cari, Don Giovanni d'Alessandro, 13° Duca di Pescolanciano, rappresentante di una delle più grandi ed illustri casate nobili delle province napoletane.
Con Lui scompare un "Signore di altri tempi" di quello stampo di cui Napoli e tutto il Sud avrebbero bisogno rimanessero a testimoniare dignità, gusto e passione per la propria terra.
Elogio Funebre
In ricordo di Don Giovanni
Ricordare la figura di Don Giovanni,13° duca di Pescolanciano, è voler parlare di quel mondo di valori civili, cristiani ed umani nonché dei sani ideali della nostra società pre e post-bellica,ormai lontana nel tempo.
Giovannino, in famiglia Nino, prese il nome dall’illustre duca Giovanni Maria d’Alessandro di Pescolanciano, fedele gentiluomo di Camera di S.M. e combattente per la destituita monarchia borbonica. Ebbe i suoi natali nella Napoli dei Russo,della Serao e dei Murolo, ove assaporò negli anni giovanili i riflussi nostalgici ed ottimistici del periodo della Belle Epoque. Studente disciplinato e diligente, superò in modo brillante le varie tappe scolastiche, quali il ginnasio del Vittorio Emanuele e la laurea in giurisprudenza. In questi anni della Napoli pre-bellica, allorquando si passeggiava in carrozzella assaporando melodie nostalgiche tra persone semplici, oneste ed altruiste in uno stupendo paesaggio incontaminato e non degradato, Don Giovanni si formò nel rispetto delle tradizioni identitarie partenopee. Tra i suoi compagni inseparabili di studio, il prof. Armando Miele lo ha ricordato così nel suo fanciullesco diario:
“Tra i tanti volti sfocati, distinguevo, nettissimo, quello del compagno inseparabile, al quale la discendenza da un’antica stirpe, se non aveva risparmiato l’amarezza del decadimento e dello sperperio, aveva tuttavia trasmesso una raffinatezza che si accordava perfettamente con la sensibilità in cui si rigenerava:lo distinguevo, non per la consuetudine dei rapporti (giacché anche con altri ne avevo avuti) ma per l’affinità elettiva, per la comunanza dei vagheggiamenti, per l’autenticità dell’amicizia. Quanti discorsi tra i versi di Sofocle e le epistole di Seneca!..Ragionavamo e sognavamo, ascoltando la musica diffusa da una radio vestita dell’ingombrante involucro di legno, nella cameretta di lui al quinto piano (via Duomo); oppure girovagando per strade e vicoli del tracciato ippodameo; oppure passeggiando lungo il mare che odorava ancora. Parlavano dei loro problemi condensati in dubbi, incertezze, difficoltà, proponimenti;parlavano dell’amore o piuttosto di quelle voci disarmoniche dell’anima e dei sensi che sono i primi ardori. Temi consueti, eterni, ritornanti, finanche abusati, dei quali doveva restare soltanto il valore riposto, rintracciabile in più ampia dimensione..”.
Questi vacheggiamenti del “signorino”Don Giovanni si accentuavano durante le vacanze estive, allorquando si ritrovava, con tutti i parenti e familiari, nell’avito castello molisano, rifugio prediletto per l’arrestarsi del tempo di fronte all’avanzare del progresso bellico. Nella penombra delle lampade ad olio e nel torpore dei focolai del castello Nino assaporava le sue predilette letture dei classici. Ma i giorni della sua spensieratezza giovanile terminarono troppo presto, a causa dello scoppio della guerra. Don Giovanni si trovò, così, costretto a lasciare la sua città e tutti gli affetti familiari, partendo come ufficiale di complemento sul fronte greco. I duri e tragici anni di guerra, con le sue atrocità e paure, lo segnarono per il resto della sua vita e rapito della sua gioventù si ritrovò dopo gli anni di prigionia,ricompensati dalla sola croce al Merito di guerra e dal diploma di combattente per la libertà d’Italia 1943-45,ad affrontare una repentina scelta di vita. Trovando una Napoli distrutta dai bombardamenti e svilita nelle sue risorse, Nino decise di non essere di peso alla sua famiglia proseguendo la carriera militare in Polizia e rinunciando ad un più tranquillo impegno forense presso lo studio del padre nella nativa città. Seguì, così, la strada dell’esilio nel Nord Italia, allietato solo dalla compagnia della conterranea giovane moglie Gelsomina nei vari suoi trasferimenti, terminati a Firenze con il massimo dei gradi nonché la croce d’Oro per servizio, la medaglia d’Argento per Comando ed il Cavalierato della Repubblica Italiana.
Nel cuore ha mantenuto l’amore per la sua terra e suoi antenati,sempre visitata con tutta la di lui famiglia nei periodi di vacanza, facendo conoscere ai figli ed ai nipoti la storia e le bellezze paesaggistiche. Critico e combattivo verso quel mondo di speculatori e palazzinari dal facile guadagno, che hanno devastato e deturpato la sua città con rispettiva provincia, agevolando la diffusione di quel malcostume civico, ha ricercato nella gloriosa storia cittadina il ricordo della Napoli del suo tempo. E’ stato un accorto genitore nell’educazione dei propri figli, che ha fatto crescere nel rispetto dei valori tradizionali e cristiani con lo spirito del sacrificio ed il sentimento di ossequio. “Signore” ed umano nei modi, rispondenti al suo lignaggio di appartenenza, è vissuto nella semplicità con un grande senso del dovere e della carità verso il prossimo. Ha sostenuto,durante la sua vita, con donazioni diversi enti ed associazioni per i bisognosi dei Paesi arretrati. Uomo di grande cultura, autore di vari saggi storici e pubblicazioni,è stato desideroso di apprendere fino agli ultimi momenti della sua lunga malattia.
Don Giovanni è tornato alla Casa del Padre nel giorno del festeggiamento dell’anniversario per i 59 anni di matrimonio, al cospetto della sua amata consorte e dei suoi cari che hanno voluto rispettare la sua volontà di essere sepolto nel sepolcro partenopeo di famiglia presso i Bianchi dello Spirito Santo.
Napoli, 16 ottobre 2010
"Nelle tue mani, o Padre, raccomando il mio spirito"
(Luca, 23,46)
Requiescat in Pace