Gli studiosi (Borrelli, De Daugnon, Ricca Erasmo) concordano nel ritenere Guido/Guidone e suo figlio Angelo essere gli ultimi esponenti vissuti in Principato Citra nel corso del XIII secolo, perdurando la dominazione Sveva. Il miles Guido, rientrato dalla Terra Santa con le insegne dell'Ordine templare, nel rispetto di quelle consuetudini cavalleresche rinunciò all'appannaggio feudale per la Precettoria di Lama Ciprandi in terra di Apulia. Nel 1213, in tarda età, si trovò convocato a Trani presso la chiesa di Ognissanti in occasione del Capitolo della provincia di Apulia-Terra di Lavoro, presieduto da Pietro de Ays della Domus templari di dette terre (F.Bramato, Storia dell'Ordine dei Templari in Italia, Rm 1991, p.74). La sua discendenza, deve essersi avvicinata o nata nel napoletano, acquisendo proprietà nella provincia limitrofa alla città reale, per incarichi di prestigio ricevuti dalla famiglia per volere della regnanza Sveva ed Angioina. Difatti, risulta citato da vari araldisti del '600 il primogenito di Guido, Angelo de Alexandro perchè stimato da re Carlo I d'Angiò, che lo volle a suo fianco con l'incarico di "Consigliere del Re Carlo Primo e Luogotenente del Regno" (B.Aldimari, Memorie delle Famiglie imparentate con la Famiglia Carafa, Vol.IV, Na 1691, p.372). Aggiunse in proposito, lo storico Mazzella (S.Mazzella,Descrizione del Regno di Napoli, Na 1601, p.748) che detto sovrano concesse il "privilegio" di essere "suo Consigliero" perché "tanta enim fuit fides Magnifici Militis et Consiliari nostri Angeli de Alessandro Neapolitani, qui non degener fuit a suorum majorum nobilitate, ideo tanto merito dignus est".
La seconda Provincia, ove si stanziarono i d'Alessandro (de
Alexandro, Alexandri, ab Alexandro) dopo aver posseduto feudi in Principato
Citra (vedi Roccagloriosa), fu Terra di Lavoro a partire dal XIII secolo.
Detta Provincia, elevata al Giustizierato, fu collegata al Contado di
Molise, allorquando l'imperatore Federico II di Svezia la volle unita
a detta Provincia nel progetto dei distretti imperiali di Giustizia.
Elemento che favorirà, nei secoli avvenire, i contatti del Casato anche
con questa terra molisana, ove si svilupperanno taluni altri rami. Le prime
baronie acquisite in Terra di Lavoro furono: Mugnano-metà XIII sec,
S.Giorgio (Liri)- fine XIII sec., Casalnuovo-inizi XV sec. Carlo De Lellis
fu tra i genealogisti più convinti a sostenere l'origine della
famiglia d'Alessandro essere della Terra di Lavoro.
Fu uno dei Casali di Napoli in terra Laboris, noto per la presenza di mulini. Feudo della S.S.Casa dell'Annunziata passò come baronia di Casa d'Alessandro nel 1260, sotto re Manfredi di Svevia, con il feudatario Pietro (III) de Alexandro, figlio di Riccardo e già mutuatore in Afragola ( C.Borrelli, Vindex Neapolitanae Nobilitatis...,Na 1653, p.172). Detta terra feudale fu alienata, probabilmente, agli inizi del XIV° sec. per passare ad altri intestatari della nobiltà locale,come i duchi Di Capua ed i principi Capece Minutolo. Tra l'altro il figlio Nicola fu citato (1265-70) nell'elenco dei Signori del Iustitiario Terre Laboris perché "quod solvant subscriptis hominibus civitatis Neapolis pecuniam" (Chiarito, Repert. f.233-237).
Detta baronia fu acquisita da Giovanni I di Carlo de Alexandro (Giustiziere di Calabria) alla fine del XIII sec. per la collocazione strategica in terra di Lavoro, in quanto vicina al fiume Liri ove si svilupparono varie attività commerciali e tra l'altro non distante da due centri nevralgici come Capua e Montecassino. Essendosi, nel mentre, consolidata la fedeltà della famiglia d'Alessandro all'insediata monarchia angioina (già da re Carlo I, 1266), crebbero tra gli esponenti di questi gli incarichi nel nuovo ordinamento amministrativo e finanziario. Lo stesso Giovanni I, come il padre Carlo o il noto nonno Angelo, ebbe anche l'incarico di Mutuatore in Isernia, da testimonianza dei registri del Giustizierato di Terra di Lavoro (1276-77) della Regia Cancelleria Angioina. I figli di costui, Francesco e Gualtiero de Alexandro risultarono essere baroni nel Regno (Rivista di S.Germano) ed iscritti nei registri del Giustizierato di Valle Grazia (1276).
Detta in antico "Arcora", la terra fu acquisita dal barone Giovanni III de Alexandro, figlio di Antonio II, probabilmente agli inizi del XV sec., visto che detto d’Alessandro risulta essere vivente alla data del 1417. Anche detto esponente di Casa d'Alessandro rivestì importanti cariche, quali quella di Gran Camerario di Calabria (1415), Maresciallo del Regno, (Registro Angioino,374,fol.352, citato nel Repertorio del Borrello,n°26,fol.36) Giustiziere degli Scolari e Consigliere della Regina Giovanna II (1414-35). Il suddetto feudo era all'epoca paludoso e ricco di acque tanto da facilitare la diffusione della produzione della canapa, lino e gelso. Oltre a garantire tale attività lucrativa, la terra feudale, come altre dell'area napoletana, non era sottoposta a tassazione statale, ma solo a quella comunale, permettendo così di poter godere di privilegi ed immunità. Per questo feudo vi furono legami con il monastero dei Santi Severino e Sossio di Napoli, quale proprietario di fondi, sin dal X° secolo (epoca del Ducato di Napoli) e nei secoli avvenire. Detta chiesa napoletana era collegata al monastero di Montecassino ed ad entrambi questi luoghi religiosi fu legato il Casato d'Alessandro, che vi edificò cappella gentilizia (chiesa) e inserì vari religiosi e fece donazioni in loro favore. E' ipotizzabile, quindi, un'intercessione delle suddette autorità religiose a favore dell'acquisizione di Casalnuovo da parte di Giovanni III de Alexandro, il quale deve aver mantenuto la proprietà fino agli inizi del XV sec.Difatti, risultò nuovo Signore di detta terra Angelo Cuomo nel 1484, su richiesta di re Ferrante.
In Terra di Lavoro, poi, fiorirono altre baronie, con rispettivi rami dei
d'Alessandro, che ivi trovarono residenza in palazzi di proprietà,
seppur mantenendo sempre collegamenti abitativi o funzionali con Napoli.
Tra questi rami, con rispettive baronie-signorili, si menziona:
Tale terra baronale,con suo castello, è stata la prima importante ramificazione, sviluppatasi tra il XV ed il XVII secolo, dal ceppo principale napoletano. La baronia giunse in donazione da re Ferdinando I/Ferrante d'Aragona, il 25 aprile 1480, all'ambasciatore-giureconsulto D.Antonio d'Alessandro (1420,1499) come riconoscimento nobilitante per i fedeli servizi svolti dal personaggio.Oltre a Cardito, la famiglia ottenne per decreto sovrano anche la terra limitrofa di Crispano, il 6 marzo 1479 (da "Quinternioni 7 fol.102") ed altri piccoli fondi.La proprietà feudale, con suo titolo, passò, a morte di D.Antonio, agli eredi del di lui fratello Giacomo/Jacopo/Jacobuccio I de Alexandro (+ 18 sett. 1492 e sepolto in S.Pietro Martire in Napoli, fu Presidente Regia Camera della Sommaria, Gran Cacciatore, Falconiere Maggiore di Re Ferdinando I, tra il 1423-1494, Commensale di Re Ferrante,) seppur lo storico genealogista Montecco Erodoto (manoscritto "Famiglie del Regno di Napoli,1697") suppose le terre essere tornate al Regio Fisco.In verità, detta proprietà, di certo, rimase alla famiglia d'Alessandro per altri 30 anni, dopo il 1499,quando cioè il casale di Crispano passò agli inizi del XVI sec. ad Antonio Di Gennaro, imparentato con i d'Alessandro ("Quintern.17 fol.176) e Cardito fu acquisito da Sigismondo Loffredo, 11 giugno 1529, con Regio Assenso dell'imperatore Carlo V, in data 29 luglio 1533 (dopo la congiura dei nobili filo-angioina del 28 aprile 1530, ove parteciparono vari esponenti di detto ramo, imprigionati poi per tradimento, come nel caso di Jacobuccio II d’Alessandro,condannato all’esproprio dei beni, ottenendo poi l'indulto di Re Carlo V il 21 mag 1550). Seppur Cardito divenne, successivamente, principato dei Loffredo, il titolo baronale permase tra gli eredi del detto Ramo dei d'Alessandro, che così vennero distinti, fino alla loro estinzione agli inizi del '600, per assenza di discendenza mascolina.Vari personaggi del ramo d’Alessandro di Cardito rivestirono ruoli influenti, come Marino di Jacobuccio I fu governatore di beni del monastero di Montecassino (sposò Silvia dei nobili di Miroballo), Alessandro (sposò Porzia dei nobili Carafa) con Fulvio (sposò nel 1563 Cecilia d’Alessandro della Castellina) furono valenti dottori in legge.Quest’ultimo con il fratello Mercurio, figli di Jacobuccio II, furono ricordati da vari storici per la loro magnanimità verso i bisognosi. Antonio d’Alessandro di Cardito(viv. nella prima metà del XVI sec.),fratello di Jacobuccio II, fu Vice Protonotario della Gran Corte della Vicaria, nel 1527 venne eletto al Seggio di Porto e partecipò alla realizzazione, nel Duomo di Napoli, della cappella di S. Gennaro (del Tesoro). Marco/Marcantoniod’Alessandro (viv. 1528 e morto 31 ott. 1600 per condanna a morte) fu Presidente Regia Camera della Sommaria, citato nelle cronache partenopee per essere stato grande amico del famoso poeta e scrittore barocco napoletano, il Cav. Giovan Battista Marino, che cercò di aiutarlo in una sua condanna per omicidio di un servo.Il suo discendente, il giovinetto Fabrizio d’Alessandro, rimase pure noto agli storici per essere stato scannato da uno schiavo (nella piazza del Castello del Maschio Angioino) su ordine del Vicerè D.Pietro di Toledo nel corso dei tumulti del maggio del 1547, in quanto partecipe di un’ azione di insubordinazione contro degli “algozzini” (guardie) spagnoli assieme ad altri personaggi di famiglie patrizie.Detto ramo nel corso di quasi due secoli di esistenza, ebbe proprietà residenziale nel seggio di Porto (la dimora di Roberto, succeduta per testamento ai vari eredi d’Alessandro era collocata nei pressi della chiesa di S.Giovanni Maggiore, chiesa ove si tennero numerosi battesimi e matrimoni di detti esponenti) e mantenne la principale Cappella di famiglia presso la citata chiesa di S.Pietro Martire. Diversi furono gli imparenta menti con personaggi di altre famiglie di seggio (non solo di Porto), come i della Leonessa, Miroballo, di Gennaro, Carafa, Caracciolo Pisquizi, San Felice di Bagnoli, i Pagano ed i Serra. L’eredità dei d’Alessandro di Cardito, che vengono spesso citati nei trattati genealogici come la discendenza napoletana estintasi, transitò per il ramo dei d’Alessandro della Castellina, a seguito di matrimonio contratto tra Maria Giovanna d’Alessandro di Cardito e Giovanni Battista d’Alessandro della Castellina (17 sett.1595), con precise disposizioni testamentarie notarili.
Detta terra, che non è distante da Cardito ed era collocata in diocesi di
Nola, prese il nome per volere di un console romano, C.Mario. Vi prese
dimora Jacopo/Giacomo de Alexandro della città di Napoli,omonimo al
capostipite di Cardito,acquisendo alcuni fondi rustici (in Marigliano,
Mariglianella, Lausdomini, Ottaiano) con assenso del re Alfonso I
d'Aragona, il 13 novembre 1450. Con il di lui figlio, Gabriele, che
sposò Medea d'Arcuccio con dote acquisita del feudo de Cassiolis in
Marigliano, e nipote Nicola avvenne l'acquisizione della baronia di
Marigliano nel 1487 per 800 ducati (Archivio Aragonese).Quest'ultimo, artefice di un'alleanza con la famiglia Sabatino, ottenne la concessione
del castello di Rocca Albana da Goffredo Borgia, principe di Squillace.
Nella discendenza a seguire, si menziona Mutio Sr. d'Alessandro,
procuratore civico (1567) della successiva Università di Marigliano, per
aver sposato Marzia Sabatino, la quale portò in dote alla famiglia
d'Alessandro il feudo della Cisterna. Costui morto nel 1585 è sepolto
nella chiesa della SS.Annunziata in Marigliano.Sulla lapide marmorea è
inciso "Mutius Alexander Patritius origine Neapolitanus" e come
insegna araldica riporta ul leone rampante, color aureo, in campo azzurro,
attraversato da banda nera con tre stelle ad otto punte (come figura in
Sorrento e Napoli-Terra di Lavoro). Vi fu Giovanni Antonio che donò alcune
terre alla cappella di S.Nicola in Marigliano.Antonio, cavaliere milite
morto nel 1573, con il suddetto Mutio è sepolto nella cappella gentilizia.
Si ricorda il cav.Gennaro per essere stato coinvolto nei tumulti del 1647
in Terra di Lavoro. Tra i religiosi del ramo si menzionano l'Abate
Alessandro (1695) e padre Bernardino (1773).L'antico palazzo
d'Alessandro, di fabbrica seicentesca, nel centro di Marigliano (dove
sorgeva porta S.Pietro, tra via Garibaldi e via S.Pietro) fu residenza
familiare fino agli inizi del Novecento (oggi è sede di istituto
scolastico). Il palazzo è provvisto di cortile centrale, con suo piano
nobile, e nella corte a due campate sopravvive l'antico stemma
pitturato della famiglia (con colorazione modificata di fine '800 su modello dei d'Alessandro di Napoli). A fine '800 D.Gennaro, sindaco di
Marigliano, si interessò della ricerca genealogica del ramo di
appartenenza, facendo pubblicare varie ricerche e soprattutto richiedendo
il riconoscimento nobiliare presso la Consulta Araldica del Regno
d'Italia, che avvenne con D.M. il 2 maggio 1908. I di lui figli
Francesco ed Antonio, residenti a Napoli dagli inizi del XX secolo,furono
accolti nell'Ordine di Malta come cavalieri d'Onore e
Devozione.Ultima testimonianza di questi eredi è quella di D.Rosa,dama
dell'Incoronata, che collocò ricordo lapideo della madre C.ssa Clarice
Viti e della famiglia d'Alessandro presso la basilica
dell'Incoronata a Napoli, il 26 aprile 1956.
Detto ramo d’Alessandro è probabile sia disceso da un personaggio dei d’Alessandro della vicina terra di Marigliano (o della Sicilia). Si rinvengono notizie documentate da certificazioni di nascita, matrimonio e morte presso la locale chiesa ed, in particolare, il capostipite risulterebbe essere Nicola d’Alessandro, vivente nel XVIII sec.
Ebbero proprietà fondiaria e conservano dimora con insegna sul portone principale ricordante il cavallo bucefalo dei d’Alessandro siciliani. Nelle testimonianze orali di uno degli attuali discendenti, Mr. Phillip d’Alessandro, nato e residente in Inghilterra, si ricorda comunque anche l’uso del blasone con il leone rampante.